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Crotone lavora con le reti, ma teme il dopo   versione testuale
10 maggio 2020

«La diocesi di Crotone opera in un territorio di non facile gestione, ma che nella attuale emergenza sanitaria ha saputo mettere in campo un bene prezioso: la solidarietà». Così esordisce don Rino Le Pera, direttore della Caritas diocesana. In primo luogo, la Caritas calabrese ha fatto in modo che continuassero i progetti in corso, dalle mense al dormitorio. In seguito si è spinta su un territorio solitalmente estraneo all’azione di una Caritas: «Abbiamo ritenuto opportuno l’acquisto di 5 respiratori automatici per l’azienda ospedaliera locale, in quanto avevano provveduto ad organizzare un reparto Covid ma avevano a disposizione solo 4 posti per la rianimazione. Abbiamo ritenuto prioritario e opportuno contribuire al suo potenziamento. Un’idea dettata dal bisogno, ripresa poi da altre diocesi».
Anche nel Crotonese, come in buona parte d’Italia, la chiusura delle attività produttive ha portato a un aumento delle famiglie in difficoltà, che si sono rivolte alle Caritas. Per far fronte alle aumentate necessità, la diocesi ha messo a disposizione dei fondi: «Abbiamo così potuto potenziare gli empori solidali con l’acquisto di beni alimentari, fornire i nostri centri di farmaci di prima necessità e aumentare l’assistenza domiciliare agli anziani».
A Crotone, negli ultimi mesi, si è formato un coordinamento territoriale di cui fanno parte la Caritas, il comune, la prefettura, la Croce Rossa, l’Arci e il terzo settore; questo ha permesso di condividere notizie e necessità e coordinare le modalità e gli ambiti di intervento. Non sono stati dimenticati i numerosi stranieri che vivono nel capoluogo di provincia e che negli ultimi mesi, con l’applicazione delle leggi Salvini, erano stati “invitati” a lasciare la struttura. È sorta così una grande tendopoli, dove ufficialmente vivono un’ottantina di persone; grazie anche alla Croce Rossa e a un’azienda locale, tutte le sere vengono portati pasti caldi.
 
Arrivati i giovani, che non chiedevano aiuto
«Tutti gli interventi di aiuto messi in campo – tiene a sottolineare don Rino – sono stati possibili grazie a una solida rete di solidarietà, una cosa molto bella, tipica di questo territorio, che sa mobilitarsi ed essere solidale nei momenti di maggiore difficoltà. Ci si è messi in moto, senza voler sapere verso chi o verso cosa. Sono state settimane di intenso lavoro e non riesco a ricordare tutti i gesti solidali che abbiamo registrato: i supermercati si sono messi di loro iniziativa a raccogliere generi alimentari; l’ordine degli architetti ha donato cinque tablet per gli studenti poveri che non avevano la possibilità di seguire le lezioni a distanza; molte aziende hanno offerto la loro disponibilità, pur essendo di piccole dimensioni e non avendo grandi possibilità economiche».
«La Caritas – conclude don Rino – è stata considerata un punto di riferimento, segno tangibile che la Chiesa rappresenta molto ed è una garanzia che le donazioni fatte vanno a buon fine. Ma quello che ora maggiormente preoccupa, ed è il tema sul quale stiamo lavorando, è il dopo, che sarà veramente drammatico. Il 70% dei nuclei familiari si regge su persone che hanno un lavoro “a giornata”, una condizione drammatica e – si sa – incancrenitasi negli anni. Un dato è significativo: tra coloro che nell’ultimo periodo si sono rivolti a noi, molti sono giovani, appartenenti a nuclei familiari che precedentemente, pur avendo lavori precari, non avevano mai chiesto aiuto. Non so da dove e come potremo ripartire. Da dove e come potranno ripartire le piccole aziende, i piccoli negozianti, tutte le realtà produttive che già avevano alle spalle una precaria situazione lavorativa ed economica». Non si sa da dove e come: ma si sa che Caritas accompagnerà un cammino tanto aspro.
 
Maria Assunta Casati