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Matera: il nero scoperchiato, le regole come risorsa   versione testuale
11 maggio 2020

Anna Maria Cammisa è stata docente nei licei di Matera e ora, da dieci anni, è alla guida della Caritas dell’arcidiocesi di Matera-Irsina, quasi 150 mila abitanti distribuiti in 55 parrocchie. «Se prima parlavamo di nuovi poveri – attacca –, adesso dovremo parlare di “nuovissimi” poveri. Eh sì, qui al sud è stata scoperchiata una pentola, quella del lavoro nero. Un fenomeno ben noto, ora esploso in tutta la sua drammaticità. Circa la metà delle famiglie materane versa in una situazione disperata, perché i loro membri avevano un lavoro irregolare, precario, ma l’avevano. Riuscivano a sopravvivere e qui non erano mai venuti. Adesso ce li ritroviamo in fila, o al telefono che ci dicono di vergognarsi a venire». Sono persone che in questa crisi hanno perso tutto e ora non possono pagare il mutuo, l’affitto, le spese vive. «Ci sono case, tante, dove non entra più un euro. Famiglie con bambini. Questi non chiedono il pane, un sussidio. Chiedono il lavoro».
Una situazione drammatica, quella descritta da Anna Maria Cammisa. E lo è anche a seguito dei fasti di Matera 2019 che, in realtà, ha reso le cose più difficili a molti. E ora il Covid-19 ha definitivamente fatto emergere l'equivoco del falso benessere. «Tutti si sono buttati ad aprire B&B, bar, ristoranti, in vista di Matera capitale europea della cultura. Con troppa leggerezza. Si è fatto il passo più lungo della gamba, e gli affitti sono lievitati fino a far pagare 450 euro al mese un monolocale di 25 metri quadrati. Un’enormità, a Matera. Il coronavirus ha messo in ginocchio una economia già fragile, molti si erano indebitati e ora si ritrovano senza soldi e con i debiti. E altri, famiglie e negozianti, hanno lo spettro dello sfratto perché non riescono a pagare certe cifre».
 
Lavoro tutelato, tutti più tutelati
Per fortuna c’è anche qualche notizia positiva. «Registriamo un'ondata di solidarietà mai vista, ci sono tantissime persone che donano, piccole e grandi somme. Famiglie non ricche che vogliono fare la loro parte. Stiamo vivendo anche la concretezza della solidarietà».
La Caritas di Matera ha dunque di fronte a sé una situazione di bisogno elevato. E sa che non può fare fronte per troppo tempo a una situazione così grave. Certo, la concretezza della solidarietà aiuta, ma la direttrice è convinta che sia il momento di mettere in campo nuovi strumenti, anche di prevenzione. «Non abbiamo ancora approntato il progetto. Lo stiamo definendo, ma vediamo troppe famiglie che non ce la fanno a rialzarsi e chiedono solo di lavorare. Sono mortificati dalla loro situazione. Per il momento forniamo i beni di prima necessità, stiamo cercando di far fronte alle spese vive, li stiamo aiutando nelle pratiche per l’accesso ai sussidi pubblici. Ma dopo l’emergenza occorre approntare un progetto di lungo respiro. Da noi il lavoro nero la fa da padrone. E non è sempre cattiva volontà degli imprenditori, ma un costume culturale, in parte la conseguenza di una tassazione eccessiva. Allora bisogna educare. Stiamo pensando a corsi di formazione per lavoratori e imprenditori. Gli imprenditori devono capire che se i loro operai sono tutelati anche la loro attività sarà più tutelata, e che il lavoro fa parte del bene comune, come il cibo e la solidarietà. Le regole, è questo che dobbiamo far passare, sono una risorsa per tutti, perché in questa tragedia ci siamo resi conto che siamo una comunità. La pandemia può diventare anche occasione di riscatto per cambiare le cose. Pensiamo che il nostro compito sia anche quello di formare nuove coscienze sociali. Solo con questa scommessa la pandemia potrà diventare un veicolo di rinascita».
 
Invenduto aumentato, ma serve
A Matera ci sono 35 centri di ascolto e su ognuno ruotano circa 15 volontari, che non hanno smesso di ascoltare e dare orientamento. La Caritas a Matera gestisce anche un centro di accoglienza per tossicodipendenti, e di un centro di accoglienza dove ci sono 5 italiani senza dimora, e 30 ragazzi rifugiati (i quali, in questi giorni, stanno cercando, con l’aiuto dei volontari, di trovare un lavoro nei campi agricoli).
Un progetto che non si è interrotto è Cibus: 15 volontari tutte le mattine vanno a recuperare il cibo invenduto in 50 negozi che aderiscono all’iniziativa. «L’invenduto è tantissimo. Più di quanto riusciamo a distribuirne. E allora abbiamo allestito una dispensa dove metteremo tutto il cibo che non riusciamo a smaltire nelle consegne: le persone potranno venire a prenderlo qui. Abbiamo avuto locali in comodato d’uso, gratuito da una delle nostre parrocchie, noi abbiamo ristrutturato e adesso è pronto e può partire. Cibus lo facciamo da due anni, prima aveva anche una valenza educativa, per spiegare che il cibo non va sprecato. Certamente ora, nell’emergenza, l’invenduto purtroppo è aumentato. Ma almeno serve a chi non ha niente».
 
Daniela Palumbo