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Aosta, la ripartenza è un circolo   versione testuale
21 maggio 2020

Economia circolare. Che detta così sembra un concetto un po’ astratto, e comunque ingenuo, in tempi di durissima recessione da coronavirus. E invece può essere una soluzione: praticabile, nel piccolo, e soprattutto votata a dissotterrare le motivazioni umane più profonde dell’agire economico. Quelle legate alla dignità, prima ancora che al guadagno.
Ci hanno creduto, e ci stanno credendo, tra le cime della diocesi per certi aspetti più remota d’Italia – una novantina di parrocchie e 120 mila anime (ovvero tutti gli abitanti della regione), un territorio da cartolina, un’economia incardinata sul turismo di montagna e sulle due versioni stagionali dello stesso: l’invernale, fonte dei maggiori guadagni, e l’estiva, comunque un attrattore di numerose presenze. Il problema è che quest’anno il virus, collocandosi nella primavera a cavallo, si è mangiato in Val d’Aosta quasi due mesi di economia della neve (ce n’era parecchia, per di più) e ha ipotecato e comunque ritardato l’organizzazione della stagione degli alpeggi, del trekking, delle passeggiate al sole d’alta quota. Risultato: impatto sanitario durissimo, nonostante l’arrivo un po’ ritardato del contagio, anche a causa dell’elevata età media della popolazione valligiana, ma impatto socio-economico persino peggiore, con una schiera di lavoratori del comparto sciistico, della ristorazione, del settore alberghiero, delle filiere di fornitura, e del commercio e dell’artigianato minuti, rimasti a spasso. Per modo di dire: a spasso immobili, nel confino del lockdown.
 
Perché non iniettare liquidità?
Al numero verde appositamente istituito da marzo dalla Caritas diocesana di Aosta, aggiornamento emergenziale delle prassi consolidate dei centri d’ascolto, è dunque arrivata presto l’eco delle storie e delle preoccupazioni di tanti lavoratori stagionali, a chiamata, in nero. Ma anche di piccoli commercianti e di artigiani titolari di aziende individuali, o comunque di microimprese, che nel periodo del blocco dell’attività hanno dovuto però continuare a onorare mutui, affitti e altri impegni finanziari, oltre a dover rinunciare alle entrate. Lavoratori subordinati e autonomi, accomunati dall’impossibilità a ricevere sussidi pubblici, o comunque non in grado di attenderne l’erogazione troppo a lungo, e vittime di una repentina e impronosticabile crisi di liquidità, in grado di affossare – se non contrastata per tempo – anche le potenzialità di riapertura e ripresa che maggio, bene o male, ha cominciato a portare con sé.
«Grazie a una stretta collaborazione con la Pastorale sociale e del lavoro diocesana, cementata dalla precedente e utilissima esperienza dei “Cantieri del lavoro” – riepiloga Andrea Gatto, direttore della Caritas aostana – abbiamo dunque cominciato a interrogarci su come erogare aiuti che andassero oltre i, pur doverosi (e pur effettuati), interventi di supporto ai bisogni materiali imminenti, di natura marcatamente assistenziale. Noi abbiamo anzitutto messo a disposizione un budget monetario per interventi di integrazione del reddito, per sostenere in emergenza persone e nuclei famigliari rimasti davvero senza alcuna entrata. Abbiamo lavorato anche sugli aiuti alimentari. Ma poi ci siamo chiesti: non possiamo fare qualcosa in più, per rispondere in modo più mirato e generativo a chi ci dice che vuole essere posto in condizioni di lavorare subito, alla ripresa?».
La domanda ha avuto una risposta brillante. Come talvolta le cose semplici. E comunque circolare. «L’idea è nata parlando con alcuni degli artigiani e commercianti che si sono rivolti a noi, e che noi abbiamo capito di dover sottrarre alla prospettiva di un doppio cappio: oltre al blocco da Covid, anche la stipula di ulteriori prestiti per far fronte alle spese rimaste attive, aggravando fino a renderla insostenibile la propria condizione debitoria. C’era bisogno di iniettare denaro fresco, anche in quantità minima, nelle casse di questi micro-imprenditori. Che peraltro ci segnalavano di non volere elemosina. E allora ci siamo detti: perché non pagare in anticipo prestazioni che faranno poi, alla riapertura?».
 
Tagli di capelli a futura memoria
Già, perché no? Perché non remunerare alla parrucchiera 40 tagli di capelli a futura memoria? O al tappezziere o al falegname un certo numero di prestazioni in case da riassestare? O al circense o ai lavoratori del teatro spettacoli da mettere in cartellone per quando sarà possibile, o da portare da settembre nelle scuole? Formula semplice e coraggiosa: acquisto anticipato di servizi. Che propone un obiettivo imprenditoriale al finanziato, salvaguardando – oltre che la sua cassa – anche la sua autostima. E che lo sollecita a farsi parte attiva di un percorso di solidarietà. Perché a fruire di quei tagli, di quei lavoretti domestici, di quei biglietti a teatro saranno in un futuro (si spera prossimo, fuori dalle secche del lockdown) altre persone con il portafoglio e la vita in panne, che in circostanze normali non potrebbero permettersi di curare se stessi, la propria abitazione, il proprio spirito e la propria cultura.
«Sinora abbiamo approvato una quindicina di progetti – computa Gatto –, alcuni già finanziati con fondi 8 per mille veicolati da Caritas Italiana per l’emergenza e con risorse nostre, altri in via di finanziamento». Una quindicina di commercianti e artigiani riforniti di liquidità, perché non disperdano investimenti e talenti e capacità di lavoro, e perché eroghino servizi ad altre persone in difficoltà (che magari, chissà, saranno a loro volta chiamate a risarcire in qualche modo la comunità che si è curata di loro). Alla fine è uno schema mica tanto astratto e fumoso. Anzi, verrebbe da dire: logico, geniale, circolare.
 
Paolo Brivio