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Verona, dopo la fame il digital divide   versione testuale
26 maggio 2020

Un solido, capillare lavoro di monitoraggio del territorio, esteso dal capoluogo alla provincia. Per capire i bisogni. Per calibrare le risposte. Per orientarsi nella tempesta immobile. Facendo leva su un insostituibile tessuto nervoso: la rete dei centri di ascolto.
«Prima del Corononavirus erano attivi 53 sportelli – spiega Barbara Simoncelli, referente dell’area Progetti e coordinamento della Caritas diocesana di Verona –, con una rete di volontari di oltre 700 persone, la nostra grande ricchezza. All’inizio del lockdown ne abbiamo tenuti aperti 30, con modalità diverse: ascolto telefonico e reperibilità. Oggi sono 40. I centri di ascolto sono le nostre antenne sul territorio. Ci permettono di arrivare nelle aree di bisogno grave e di conoscere rapidamente i vuoti che le istituzioni non riescono a colmare. Solo la sede diocesana centrale di Verona, fra marzo e aprile, ha ricevuto circa 1.700 telefonate, con segnalazioni di necessità, soprattutto alimentare».
Un’altra carta vincente è stata la collaborazione con i servizi sociali del comune di Verona. «Abbiamo sempre lavorato insieme in questa fase di emergenza, per cercare di raggiungere tutte le famiglie. Dal monitoraggio incrociato ricaviamo una mappatura capillare dei bisogni – spiega Simoncelli –: dove arrivano le istituzioni ovviamente noi non interveniamo. Quando individuiamo bisogni che per diverse ragioni non hanno potuto essere soddisfatti, lì noi ci siamo. Oppure sono le stesse istituzioni cittadine a chiederci di intervenire e a facilitare il nostro coinvolgimento».
 
Idee per non farli allontanare
Sul fronte degli aiuti materiali e d’urgenza, la diocesi di Verona già da tempo ha iniziato un percorso di avvicinamento agli Empori solidali, per andare oltre la prassi del pacco viveri, con la volontà di promuovere anche all’interno di un atto fondamentalmente assistenziale uno spazio di responsabilizzazione delle persone che si avvicinano a Caritas. I market alimentari in diocesi ormai sono 9, 7 in provincia e 2 in città.
Durante il lockdown, il servizio degli empori non ha mai chiuso a Verona. «C’è stata solo una riduzione di orari. Se prima erano aperti da lunedì a sabato, con l’emergenza sanitaria sono rimasti aperti da lunedì a giovedì, anche perché abbiamo avuto una contrazione di volontari, persone anziane, nella maggioranza dei casi, che non potevano essere esposte al rischio di contagio. In ogni caso, gli Empori della solidarietà hanno lavorato a pieno ritmo. Nei 2 market di Verona città, in tempi ordinari, le famiglie che facevano la spesa solidale erano 300: durante il lockdown sono diventate 600. Il venerdì gli Empori erano chiusi e i volontari si sono dedicati al servizio di consegna della spesa a domicilio, istituito per le categorie di persone che non potevano uscire né essere aiutate dai familiari: persone disabili, malate, donne con figli piccoli, immunodepressi. A coprire questo servizio sono stati i giovani studenti, soprattutto universitari, dai 19 ai 25 anni, che sin dall’inizio si sono offerti volontari. Sono stati 32, su un totale di 75 nuovi volontari che sono andati a bussare alle porte di Caritas Verona, in questi mesi, per dare una mano. E così abbiamo potuto far fronte all’incremento di 130 famiglie che richiedevano cibo a domicilio. Questi nuovi volontari sono stati una fortuna. E sono sempre stati generosi, molti usavano l’auto propria per fare le consegne…».
Con la fine del confinamento, il servizio di spesa a domicilio è cessato, se non per pochissimi casi. Ma c’è già un’idea per non far allontanare i giovani. «Abbiamo chiesto loro – racconta Barbara Simoncelli – di tenere aperti i market il sabato mattina. Quattro-cinque di loro, a turni di tre ore, durante la giornata. Molti hanno già accettato».
 
Prevenire la perdita della casa
Sul versante della grave emarginazione, la Caritas diocesana di Verona ha una risorsa importante: l'opera-segno “Il Samaritano”, cooperativa nata nel 2006. Le 250 persone che la cooperativa aveva in carico – migranti e homeless principalmente – sono state fatte dimorare per tutta la quarantena in soluzioni differenti, da case-famiglia a strutture diocesane, con gli operatori impegnati 24 ore, in modo da rispettare il confinamento.
Nella “fase 2” i bisogni a cui dare risposta cambiano: i più pressanti, al momento, sono il digital divide e il mantenimento della casa. «I servizi sociali del comune di Verona hanno mappato gli studenti che nella prima fase della Didattica a distanza non sono stati raggiunti perché non possedevano un computer, un tablet, un telefonino. Oppure perché ne possedevano uno, ma in famiglia c'era più di un figlio. Su 72 scuole del territorio, dalle elementari alle superiori, risultavano in difficoltà 3.700 studenti. A moltissimi, anche grazie a noi, sono già arrivati i dispositivi elettronici. Ma stiamo continuando a intervenire anche in vista di settembre».
L’emergenza legata alla perdita del lavoro, infine, si connette strettamente al tema del diritto alla casa. «Da marzo a maggio, le famiglie del nostro territorio hanno tenuto sul fronte dei pagamenti di affitti e utenze, perché sono state sostenute dal punto di vista alimentare. Ma molte adesso hanno perso definitivamente il lavoro, e non riescono più a far fronte ai propri impegni. In questi giorni stiamo lavorando ancora con il comune e i suoi servizi sociali per raccogliere i dati e avere un quadro chiaro dei bisogni. Bisogna impedire che tanti nuclei e persone perdano casa. Insieme al comune, stiamo pensando a sostegni all’affitto e al pagamento delle utenze. Ma stiamo decidendo proprio in queste settimane, alla luce delle misure messe in campo dal governo».
 
Daniela Palumbo