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Nepal, lacrime nella pioggia   versione testuale
11 agosto 2020

Nikita osserva dalla soglia di casa la pianura di fronte, i campi inondati, le carcasse di animali annegati che galleggiano nel fiume trasformatosi in autostrada d’acqua.
Si chiede, Nikita. Si chiede se tornerà il sole ad asciugare i campi e le ossa. Da bambina aspettava il ritorno del sole proprio come si aspetta la pioggia durante la siccità, con un misto di speranza e di gioia permeante, un impasto colorato di rinascita e germogli.
Adesso, però, le attese di Nikita sono grigie e pesanti.
Aspetta il sole, ma aspetta anche Raju. È partito dal Nepal per il Qatar da due anni, e di lui solo notizie confuse. Dicevano un tempo che avesse trovato un’altra moglie, dato che lei non aveva saputo dargli un figlio. Poi dicevano anche che fosse morto in un incidente al cantiere.
Ma Raju ha scritto tre mesi fa, ha detto che tornerà. E poi ha inviato le foto del suo dormitorio, laggiù nel deserto, con tante persone ammalate di tosse e di febbre. E poi ha mandato la lista con i nomi di quelli morti.
E piove.
* * *
Nei mesi di giugno e luglio i monsoni sono puntualmente arrivati a flagellare l’Asia meridionale. Come sempre in questa stagione, immense quantità d’acqua piovono per settimane sui territori di India, Bangladesh, Nepal e un po’ in tutta la regione.
Sono milioni le persone colpite dalle inondazioni e dalle alluvioni causate dalle piogge monsoniche e – quest’anno – oltre 200 i morti accertai solo in India, Bangladesh e Nepal, a cui vanno aggiunti i numerosi dispersi.
I danni all’agricoltura e agli allevamenti sono incalcolabili. Ettari interi di terreno coltivato e coltivabile sono stati lavati via dalla furia delle acque e migliaia di capi di bestiame sono annegati nel tentativo maldestro di salvarsi.
Secondo il Centro nazionale per la gestione delle emergenze del Nepal, in soli quattro giorni nella prima settimana di luglio si sono verificati oltre 100 incidenti gravi legati al monsone.
 
Dormitori carichi di malati
E piove.
Piove dal cielo e piove dal terreno. Ormai la terra è satura, i campi stessi vomitano acqua limacciosa, e le deboli paratie di legno si arrendono alla violenza delle acque. Le povere abitazioni in questa sperduta campagna del Terai si mischiano al paesaggio e non c’è più differenza tra la strada, il campo, il fiume e i resti delle abitazioni.
Nikita è salita sul letto e osserva, lambita dalle acque, le sue povere cose sparse d’intorno. Verso sera, quando l’acqua un po’ scende, quando aprono la diga giù al guado, allora riordina pentole e sedie di plastica, spazza fuori dalla soglia il fango e le sterpaglie.
Domattina, con le piogge della notte, sarà di nuovo da capo, lei arrampicata sul letto in compagnia della speranza che l’acqua non salga.
Da quando Raju è partito, solo Poorna con i suoi due figli le sta accanto. Anche il marito di Poorna, Abinash, è andato in Qatar. Ma lui scrive ogni settimana, lui ha dei figli, lui è tornato.
È riuscito a rientrare per un soffio quando le frontiere erano già chiuse, quando ancora si poteva pagare un agente al confine per scivolare verso casa. Ed è riuscito a scappare da quei dormitori carichi di malati, abbandonati a sé stessi, rinchiusi nelle loro stanze da un sistema pronto anche a colpirli, affinché non entrino nella sanità dei ricchi, nel tentativo senza censo di salvare la pelle.
* * *
In paesi già piegati dal blocco della pandemia, i monsoni hanno aumentato il carico di sofferenza e marginalità. Se da sempre le piogge si scaricano violente in questa stagione, se da ormai un decennio i fenomeni sono diventati progressivamente più violenti e distruttivi, è solo da quest’anno che hanno trovato popolazioni non solo povere, stanziate in posizioni rischiose, deboli nella capacità di risposta, ma anche fiaccate nella salute dal Coronavirus, affamate da mesi di mancati introiti, impaurite dall’epidemia dilagante e rassegnate a una natura che si accanisce senza posa.
Tra i poveri e le fasce deboli della popolazione, chi aveva un lavoro – sempre temporaneo e precario – lo ha perso. Chi viveva grazie alle rimesse dei parenti all’estero, non le riceve più. Chi già faticava a sopravvivere, ora rischia la fame. E molti ragazzi – nonostante gli sforzi immani delle famiglie – hanno lasciato la scuola, per ingrossare le fila di una nuova marginalità.
 
È arrivato un messaggio
E piove.
Ancora e ancora sul tetto di Nikita, là nella pianura del sud, nelle regioni del nord dove le dorsali dei monti scivolano a valle trascinate dalle acque, nelle città dove tutto si blocca in putridi ingorghi di traffico e fogne.
E piove sulle guance di Nikita, cosi che le lacrime si confondono sotto un cielo carico, che non dà risposte.
Li ha scomodati tutti, Nikita, gli dei del suo olimpo. Ma è arrivato un messaggio. Non tornerá, Raju… Se lo è tenuto la tosse, in terra straniera.
Forse, quest’anno, pioverà per sempre.

Beppe Pedron