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Il continente malato, depresso, corrotto, sconnesso   versione testuale
13 ottobre 2020

Negli ultimi mesi l’America Latina si è confermata come une delle aree del pianeta maggiormente colpite dall’epidemia di Covid 19. Il 26 settembre 2020, il continente e l’Australia hanno chiesto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la solidarietà delle grandi potenze per sopravvivere alla pandemia, in particolare attraverso il libero accesso ai futuri vaccini e ai crediti internazionali senza interesse. «Di fronte alla pandemia, come alla povertà, nessuno ce la farà da solo», ha detto il presidente argentino Alberto Fernandez nel suo intervento in assemblea.
In base ai dati ufficiali (aggiornati al 5 ottobre), in America Latina sono stati registrati circa 9 milioni di contagi e più di 350 mila morti dall’inizio della pandemia. Come si osserva dai grafici prodotti dal John’s Hopkins Institute, Brasile, Colombia, Messico, Perù e Argentina sono tra i primi dieci paesi al mondo per numero di casi di Covid-19 registrati. Al 10 ottobre, nel solo Brasile c’erano stati sin dall’inizio della pandemia quasi 5,1 milioni di contagi e, in totale, e poco più di 150 mila morti Covid-correlati. Il Perù, per numero di morti, 33 mila su quasi 850 mila contagiati, veniva immediatamente dopo l’Italia. La Colombia era il quinto paese al mondo per numero di contagi (oltre 900 mila al 10 ottobre, con quasi 28 mila decessi), seguita a breve distanza dall’Argentina (quasi 900 mila contagi e quasi 24 mila decessi).
Rispetto ad altri paesi e ad altre regioni del mondo a sviluppo avanzato, è tuttavia probabile che il numero di persone positive in America Latina sia di gran lunga maggiore: in molti paesi latinoamericani è basso il numero di tamponi e di accertamenti sierologici effettuati sulla popolazione, in gran parte non raggiunta dall’assistenza sanitaria di emergenza. Va anche considerato l’atteggiamento dei governi, che hanno strumentalizzato in diverse direzioni i dati disponibili, sottostimandoli o accentuandoli, oscillando tra posizioni manifestamente negazioniste e l’imposizione di rigide misure di coprifuoco e isolamento sociale.
 
A morire qui sono i giovani
Nel continente latino-americano le conseguenze socio-economiche di quasi 9 mesi di pandemia sono evidenti su più fronti.
Già nei primi mesi di diffusione del virus in Europa, e prima ancora che in America Latina fossero registrati i primi casi di contagio, molti paesi latino-americani hanno via via imposto alla popolazione rigide e severissime quarantene, che hanno di fatto bloccato la mobilità territoriali, inibendo la produzione, le attività agricole e commerciali, ecc. A distanza di diversi mesi dall’avvio di tali misure, in parte ridotte in alcuni paesi, è possibile affermare che la strategia  non ha ottenuto i risultati sperati: esposta ad una quarantena che rischiava di portare alla fame parecchie regioni, rimaste isolate per mesi interi, la gente, povera e disperata, ha deciso di interrompere la quarantena, vendendo merci sulla strada o cercando di raggiungere i luoghi di produzione rimasti isolati. Nei contesti agricoli, si è registrata la pratica della vendita del bestiame rimasto senza foraggio o l’uccisione per scopi alimentari dei capi di bestiame invenduti. Le popolazioni maggiormente colpite sono state quelle situate ai confini delle vie di comunicazione, penalizzate dal blocco del trasporto pubblico (stradale, ferroviario e fluviale).
L’isolamento sociale ha penalizzato le famiglie senza reddito fisso, che non contano su alcun risparmio, a favore delle quali solamente alcuni paesi hanno fornito aiuti economici. In alcuni casi i sussidi economici sono stati erogati una tantum e in ridotta entità, mediante meccanismi di distribuzione diretta presso gli istituti di credito. Tale meccanismo ha creato confusione e situazioni di rischi sanitari, per esempio in Perù, dove le lunghissime code davanti agli istituti di credito hanno certamente contribuito al diffondersi del virus.
Il profilo delle vittime dell’epidemia, in Centro e Sud America, è dunque diverso da quello delle vittime europee: a morire non sono soprattutto gli ultraottantenni, che in tali paesi sono molti meno che nei paesi europei, ma le persone giovani o comunque adulte, ma con meno di 60 anni. L’epidemia e la morte colpiscono tutti i livelli sociali, ma il numero più alto di vittime si conta tra i poveri. Le disuguaglianze dei danni prodotti dalla pandemia sono molto evidenti in tutte le megalopoli del continente: nei quartieri più ricchi i morti sono molto meno che nei quartieri di periferia, anche a causa delle cattive condizioni igieniche e della forte promiscuità che caratterizza tali aree urbane, dove molta gente non può contare su una distribuzione idrica a domicilio e dove l’acqua è un bene prezioso, che non si può “sprecare” per lavarsi le mani. È inoltre impossibile, per una famiglia povera, acquistare gel disinfettante, e anche le mascherine costano molto e vengono riciclate talmente tante volte da non essere più efficaci.
 
Tante mazzette, poco internet
Una delle conseguenze sociali della pandemia meno affrontate dai media riguarda l’aumento dei fenomeni di corruzione, piccoli e grandi, motivati in gran parte dall’assenza di un sistema equo di esigibilità dei diritti e dallo scarso controllo sull’operato delle amministrazioni pubbliche. Uno dei casi più inquietanti riguarda l’Ecuador, dove nove ospedali pubblici della rete dell’Iess (Istituto ecuadoriano della sicurezza sociale) sono stati indagati dalla procura per l’acquisto di sacchi per cadaveri ottenuti in grandi quantità attraverso appalti «aggiustati, con prezzi levitati fino a 13 volte il valore del prodotto».
Scandali simili hanno colpito praticamente tutti i paesi latinoamericani. L’ex ministro della salute boliviano è in carcere per una tangente milionaria, legata a 170 ventilatori per la respirazione. In Brasile sono sette gli stati in cui la magistratura sta indagando su malversazioni legate alla pandemia. In Colombia oltre 100 grandi elettori e sostenitori politici, che in campagna elettorale avevano finanziato personalmente le casse di vari partiti, hanno ricevuto in seguito contratti pubblici legati alla gestione della pandemia, senza poi realizzare le opere per le quali avevano ricevuto l’appalto. In Perù, il capo della polizia e il ministro degli interni hanno dovuto dimettersi dopo che alcune persone sottoposte al loro comando hanno acquistato gel sanitario e mascherine per gli agenti, tutte di pessima qualità, che non hanno impedito il contagio di circa 11 mila agenti (e quasi 200 deceduti).
Un altro aspetto poco affrontato e che desta preoccupazione è il ridotto accesso alla rete internet. Nei mesi di pandemia e quarantena, lavorare o studiare a casa si è rivelato dunque un lusso da ricchi, riservato alla piccola minoranza che può utilizzare il computer connettendosi alle varie piattaforme di lavoro o didattica a distanza. I dati Unesco, diffusi già a marzo 2020, erano del resto allarmanti: 188 paesi hanno chiuso le scuole, lasciando a casa oltre 1,5 miliardi di bambini e giovani. Tra questi, quasi 369 milioni di bambini in 143 paesi che normalmente fanno affidamento sui pasti a scuola per avere una fonte regolare di nutrizione quotidiana. Le stime per il futuro sono preoccupanti: 23,8 milioni di bambini e giovani – dalla scuola materna all’istruzione terziaria – potrebbero abbandonare o non avere accesso alla scuola il prossimo anno scolastico. I dati relativi all’America Latina dicono che pochi ragazzi possiedono un computer o hanno una connessione a internet, situazione aggravata dal fatto che nelle aree più povere e isolate i genitori sono analfabeti, semianalfabeti o lavorano tutto il giorno e non possono aiutare i figli per i compiti.
Per questo motivo, alcuni servizi di prossimità erogati dalle chiese locali si sono riadattati velocemente al nuovo contesto, per combattere la malnutrizione ed evitare gli abbandoni scolastici. Si offrono luoghi attrezzati per la connessione a internet, servizi di recupero scolastico, laboratori, attività di formazione professionale a integrazione delle attività laboratoriali sospese negli spazi scolastici, aiuto nei compiti a casa. Nello specifico settore educativo, Caritas Italiana ha per esempio sostenuto, mediante un finanziamento Cei di oltre 150 mila euro, 16 progetti di taglio educativo e formativo in cinque diversi paesi del Centro-Sud America (Bolivia, Brasile, Ecuador, Haiti, Perù).
 
Pane quotidiano, impegno Caritas
Tutte le Caritas dei territori più colpiti dalla pandemia ni paesi latinoamericani si sono attivate per far fronte alle necessità dei soggetti più fragili nelle rispettive comunità: i gruppi minoritari, le famiglie povere, gli anziani soli, i contadini e i piccoli produttori colpiti dalle misure di isolamento, ecc. Problematica, inoltre, è la condizione vissuta da migranti e rifugiati: oltre al rischio di aumento dei casi di positività tra i profughi che vivono in situazione di precarietà e promiscuità sociale in vari paesi, le Conferenze episcopali del Centro e Sud America hanno denunciato a più riprese la situazione dei migranti e dei rifugiati di ritorno, obbligati a rientrare in patria dai paesi di approdo, nel mezzo della pandemia, a causa dell’inasprimento improvviso dei controlli nei territori. Una volta ritornate in patria, queste persone sono diventate oggetto di diffidenza e a volte di aggressioni fisiche, in quanto possibili “untori” della malattia. Si aggiungono ai tanti lavoratori precari che vivono nelle grandi città sudamericane, rimasti senza alcuna fonte di guadagno a causa delle rigide quarantene imposte dai governi. 
Per contribuire a fare fronte a questa grande massa di problemi, la campagna Dacci il nostro pane quotidiano, promossa da Caritas Italiana e Focsiv, ha realizzato 64 interventi nel mondo, di cui 15 nel Centro e Sud America. I progetti si sviluppano in riferimento a cinque ambiti: cibo; donne; educazione; lavoro; migranti e rifugiati; salute e famiglia. I progetti si sono rivelati un’occasione di impegno e mobilitazione per tanti, in primo luogo strumenti di sensibilizzazione delle comunità cristiane e dell’intera opinione pubblica per preparare insieme il domani di tutti, senza scartare nessuno, riflettendo e impegnandosi sui temi della fame, della povertà, del lavoro, dell’educazione, anche grazie agli approfondimenti la campagna propone mensilmente sul sito.
 
Walter Nanni