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Enigma Haiti, il virus non dilaga   versione testuale
10 novembre 2020

Molti definiscono Haiti un pezzo di Africa incuneato nel Mar dei Caraibi. Ma, sebbene le differenze linguistiche, sociali e culturali siano molte, rispetto al resto dell’America Latina, e nonostante nel tempo la popolazione si sia mescolata molto poco e il 90% degli haitiani siano di origine africana subsahariana, ogni analogia con il contesto africano risulta inefficace e superficiale.
Storia e caratteristiche di Haiti, nel bene e nel male, lo infatti rendono un unicum nel mondo. Certo, il confronto con l’immagine del suo ingombrante vicino di casa è impietoso. La Repubblica Dominicana, che condivide con Haiti l’isola di Hispaniola, è considerata nella visione occidentale il paradiso tropicale per antonomasia. Mentre Haiti, sebbene ancora ami vantarsi dei fasti passati, quando era chiamata la “perla delle Antille”, appare come l’altra faccia della luna, quella oscura, dove in un concentrato di disgrazie si alternano senza soluzione di continuità disastri di ogni sorta.
Oltre alla vulnerabilità naturale (il paese è a rischio di uragani, costanti alluvioni, siccità, terremoti), i continui problemi socio-economici dovuti alle turbolenze politiche hanno ripetutamente causato instabilità, povertà diffusa e rischio di epidemie. Se il 2019 haitiano era stato caratterizzato da rivolte violente, che avevano portato il paese sulla soglia di una guerra civile, il 2020 non era certo iniziato sotto auspici migliori. Numerosi sono stati i confronti sanguinari tra gang per il controllo del territorio e i rapimenti perpetrati da bande criminali anche a danno della popolazione.
 
Scarso investimento in salute
Così, quando il 19 marzo sono stati accertati i primi due casi di positività al Covid-19, si è subito temuto il peggio. Il giorno stesso il governo ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria. Per frenare la diffusione del virus, il paese ha adottato misure preventive, tra cui il coprifuoco, la chiusura delle scuole e degli aeroporti, l’uso di mascherine e la limitazione degli assembramenti.
La reazione della popolazione al timore di diffusione della pandemia è stata ambivalente. Da un lato il rischio è stato sminuito, dall’altro si sono registrati comportamenti discriminatori. Gli operatori sanitari hanno subito minacce e sono stati bersaglio di lanci di pietre. Alcuni pazienti sono stati cacciati dalle loro case, evitati dagli stessi parenti.
Il problema della stigmatizzazione è grave, e anche Caritas si è impegnata in azioni concrete di informazione e sensibilizzazione. Ma se il diffondersi della pandemia ha causato grande apprensione anche nei paesi più ricchi e con un sistema sanitario sviluppato, ad Haiti non poteva accadere diversamente. Lo stress a cui viene sottoposta il sistema di sanità pubblico, fragile già in condizioni “normali”, in occasione di una pandemia rischia di essere insopportabile.
Già nel 2017, un rapporto della Banca Mondiale aveva evidenziato lo scarso investimento da parte del governo per i servizi sanitari. Con 13 dollari Usa all’anno di spesa pubblica pro capite, Haiti presentava un dato notevolmente più basso rispetto a quello della Repubblica Dominicana (180 dollari) e della vicina Cuba (781 dollari) e, più in generale, rispetto alla media della regione dell'America Latina e dei Caraibi, che vanta una spesa pubblica pro capite di 336 dollari.
Di questi scarsi fondi destinati al sistema sanitario, solo il 19% è stato riservato da Haiti alle cure preventive. All’inizio della pandemia, si contavano solo 680 posti letto per i pazienti Covid nel sistema pubblico, dei quali poche centinaia dotati di respiratori. Non erano disponibili invece i dati del settore privato, nel quale le cliniche attrezzate hanno verosimilmente una capacità limitata, mentre il loro costo elevato le rende inevitabilmente esclusive.
Intanto, durante il 2020, il tasso di insicurezza alimentare nel paese è aumentato, fino a toccare un terzo della popolazione, quasi 4 milioni di persone. Sebbene le misure di contenimento della pandemia abbiano avuto un effetto negativo sulla già precaria situazione economica della popolazione, anche altri fattori hanno contribuito in maniera significativa ad aggravare questo dato, come le carestie e l’aumento del costo della vita.
A causa di questo stato di cose, si sono svolte anche manifestazioni popolari. E i cittadini haitiani, per lo più occupati nel mercato informale, hanno continuato ad affollare strade e mercati, nonostante le disposizioni impartite dal governo. A maggio 2020, secondo l'unità scientifica creata dal Ministero della salute pubblica e della popolazione (Mspp), Haiti era al culmine della malattia e lo stato prevedeva migliaia di morti al giorno. Infatti, in quella data, il 60-70% della popolazione presentava sintomi comuni del coronavirus: febbre, tosse secca, mal di testa, dolori muscolari, congestione nasale, perdita del gusto e dell’olfatto, stanchezza, ecc.
Tuttavia le previsioni più pessimistiche si sono rivelate errate. Sebbene i test e la sorveglianza siano limitati, il numero ufficiale di casi confermati all’interno della popolazione haitiana (circa 11,2 milioni di abitanti) si è rivelato modesto. Il 27 ottobre 2020, secondo le statalistiche ufficiali del Ministero della salute, sono stati registrati 8 nuovi casi confermati, che portano il bilancio totale a 9.054 persone positive e 232 decessi dall’inizio della pandemia, con un tasso di letalità del 2,56%. Anche i posti letto per i pazienti Covid sono stati ridotti, di conseguenza, a 280.
 
Protetti dalle malattie?
Le ragioni di questa catastrofe apparentemente mancata non sono chiare e rimangono un vero e proprio enigma. Esperti di salute hanno ipotizzato che Haiti possa beneficiare del fatto che è composta da una popolazione più giovane. Le situazioni abitative precarie, anche se in uno stato di perenne sovraffollamento, paradossalmente possono aver giovato, grazie a una maggiore ventilazione. Inoltre gli haitiani potrebbero aver sviluppato una risposta immunitaria precoce più efficace al Covid-19, a causa della continua esposizione ad un ambiente a rischio di malattie. In più, la predisposizione alle emergenze di Haiti può aver reso la popolazione haitiana più reattiva nel mettere in campo le misure preventive basilari (pensiamo ad esempio al lavaggio delle mani). Infatti, subito dopo il devastante terremoto del 2010, le truppe nepalesi delle Nazioni Unite importarono inconsapevolmente il colera ad Haiti: nel giro di poco tempo, l’epidemia colpì più di 800 mila abitanti e uccise più di 10 mila persone, mettendo un enorme stress aggiuntivo su tutte le strutture sanitarie di Haiti.
Così, ancora una volta, il parallelismo con il paese “coinquilino” risulta difficile, seppur non dovrebbe essere facilmente liquidato. In Repubblica Dominicana al 3 novembre 2020 si contavano 259 nuovi casi confermati, che portano il bilancio a 127.591 le persone positive e a 2.250 i morti dall'inizio della pandemia, con un tasso di letalità del 1,76%, inferiore a quello haitiano. La Repubblica Dominicana è una popolare destinazione turistica invernale per le persone provenienti dal nord-est degli Stati Uniti e dall’Europa, ed è dunque un paese più esposto, rispetto ad Haiti, all’influenza esterna. Tuttavia, sono molti gli haitiani che vi lavorano e che anche quotidianamente ne attraversano il confine illegalmente, nonostante le frontiere terresti siano ancora ufficialmente chiuse.
Osservando i flussi di migrazione irregolare, sono 637.033 secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, le persone che dal 17 marzo al 18 ottobre 2020 hanno attraversato la frontiera tra i due paesi (257.762 da Haiti alla Repubblica Dominicana, 379.271 viceversa). Un numero inferiore rispetto al passato, ma ugualmente significativo, tanto da rendere difficile comprendere se ha avuto, e quali, conseguenze sulla diffusione della pandemia.
 
Rimane una morte ignota
Vi sono poi altri fattori da considerare. Sebbene il popolo haitiano creda fortemente nella forza della medicina tradizionale e faccia abbondante uso di foglie e tisane a base di zenzero e limone, l’effetto di tali rimedi non giustificherebbe le statistiche rispetto ai casi ufficiali riscontrati.
È dunque plausibile che sia un connubio di fattori ed elementi a determinare un caso di contagi relativamente basso ad Haiti. Non da ultimo hanno avuto un sicuro effetto anche le attività di prevenzione e sensibilizzazione messe in piedi dai diversi attori umanitari.
Anche gli agenti di terreno della rete Caritas, nei mesi passati, si sono mobilitati al fine di informare e raggiungere le persone più vulnerabili nelle zone più remote del paese. Con altre organizzazioni locali e internazionali, sono stati distribuiti secchi con rubinetto, cloro e sapone per facilitare il lavaggio delle mani, e innumerevoli sono stati i messaggi trasmessi alla radio o attraverso i megafoni per sensibilizzare le comunità.
È chiaro, tuttavia, pensando anche all’esperienza italiana, che solo i morti che sono stati testati come positivi al Covid-19 posso essere attributi come tali. Chi muore, e sono molti ad Haiti, nell’indifferenza del sistema sanitario, viene collocato anche in un limbo di indifferenza statistica. Una morte senza spiegazioni e senza tampone, rimane una morte ignota, o non conteggiata. E questo potrebbe spiegare le differenze tra i numeri di Haiti e quelli della Repubblica Dominicana e degli altri paesi dell'area. Nonostante tutto questo, rimane ancora una sfida aperta comprendere quale sia la motivazione che fa apparire Haiti come in un certo senso resistente alla pandemia di Covid-19.
 
Alessandro Cadorin