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Dagli sgomenti ai solidali, la mappa emotiva del Covid   versione testuale
20 novembre 2020

L’impatto sanitario, purtroppo, lo misuriamo ogni giorno. Ma quale è stato (e qual è) l’impatto psicologico e sociale della pandemia da Coronavirus? Caritas ha provato a misurarlo sull’universo di chi “abita” i suoi servizi, sia che si tratti dei beneficiari, sia che si tratti di operatori e volontari attivi nel momento dell’emergenza. Gli anticorpi della solidarietà, ovvero il Rapporto 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia, presenta i risultati di una ricerca qualitativa promossa dalla Comunità professionale dei formatori e dall’Ufficio studi di Caritas Italiana. Sono stati realizzati 121 colloqui in profondità in 22 diocesi (Ancona-Osimo, Aosta, Arezzo-Cortona- San Sepolcro, Ascoli Piceno, Aversa, Bolzano-Bressanone, Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, Firenze, Gorizia, Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Livorno, Lucca, Matera-Irsina, Massa Marittima-Piombino, Pisa, Pistoia, Prato, Reggio Emilia-Guastalla, Senigallia, Siena, Trieste, Vigevano). Ne emerge una geografia di sentimenti, tensioni e vissuti, che è bene conoscere.
 
Le parole della pandemia
La pandemia, evento imprevedibile e dagli aspetti inediti, ha indotto in tutti (operatori, volontari e fruitori dei servizi, ma in generale tutti i cittadini) un profondo senso di smarrimento e di paura. Almeno nella fase iniziale, questa situazione emotiva comune ha probabilmente accorciato le distanze tra beneficiari, operatori e volontari dei servizi.
L’analisi delle parole utilizzate dagli intervistati per descrivere il loro vissuto al tempo del primo lockdown ha consentito di creare una sorta di mappa emotiva, che ha sua volta a svelato l’esistenza di gruppi di persone che hanno vissuto il periodo con approcci psicologici diversi.
Tra i beneficiari sono stati distinti alcuni gruppi:
  1. gli sgomenti: coloro che hanno vissuto prevalentemente la paura dell’emergenza sanitaria, l’angoscia, la solitudine, la paura della morte. Si sono sentiti bloccati, hanno rinunciato alle relazioni e hanno fatto fatica a riprendere la propria quotidianità;
  2. i preoccupati: coloro che sono stati travolti dall’ansia e dall’angoscia di non riuscire a garantire nemmeno il soddisfacimento dei bisogni primari della propria famiglia;
  3. gli attoniti: chi è stato sopraffatto dallo stupore di vivere una situazione inimmaginabile, incontrollabile, quasi un film di fantascienza;
  4. i riflessivi: chi ha vissuto la consapevolezza di avere un tempo per fermarsi, riflettere sul senso della vita, sulle cose importanti, sulle relazioni.
Nella mappa emotiva costruita con le parole degli operatori e dei volontari, è prevalso invece il gruppo dei “Preoccupati”, che hanno vissuto con ansia la possibilità di aiutare tempestivamente chi si trovava in situazione di difficoltà economica. A seguire, molti si sono inseriti nei gruppi degli “Sgomenti”, degli “Attoniti” e dei “Riflessivi”, come accaduto ai beneficiari. A questi si è aggiunto il gruppo dei “Solidali”, cioè coloro che hanno posto l’accento sulla solidarietà e la generosità, riferendosi alla costituzione di reti inaspettate e dei numerosi nuovi volontari che si sono avvicinati ai servizi. 
 
Famiglia più centrale
La metà degli intervistati è stata costituita da “nuovi poveri”, persone che solitamente vivono con lavoretti precari o in nero, ai quali è stato sufficiente trascorrere un mese senza lavorare per precipitare sotto la soglia della povertà. Nel loro vissuto, un peso rilevante lo hanno avuto dunque le preoccupazioni per la situazione economica e la paura di non riuscire a mantenere la propria famiglia. La mancanza del lavoro ha inciso profondamente sullo stato emotivo, non solo perché esso costituisce la necessaria fonte di sostentamento economico, ma anche perché rappresenta un vettore di relazioni, di vita sociale; è emerso infatti che per molti la vita sociale sia quasi esclusivamente quella condivisa nell’ambiente lavorativo. 
Nel periodo del lockdown ha così acquisito maggiore centralità la famiglia. In certi casi, gli intervistati hanno raccontato di avere avuto in quel tempo l’occasione di ri-conoscersi, come se la quotidianità della vita “normale” avesse ampliato la distanza fra le coppie, fino ad allontanarle: il cambiamento di stile di vita ha permesso a molti di riscoprirsi, quasi di conoscersi di nuovo. Allo stesso tempo, tuttavia, sono emersi in modo più manifesto liti, tensioni e conflitti, talvolta amplificati anche dai disagi economici.
Tra gli elementi di difficoltà più citati, la vita con i bambini e gli adolescenti chiusi in casa. I genitori hanno vissuto la sofferenza dei ragazzi lontani dagli amici, dei bambini che hanno dovuto adeguarsi a spazi troppo stretti, privi della possibilità di correre e giocare con i coetanei. Tra gli adolescenti, invece, accanto ai ragazzi che non riuscivano a stare a casa, in alcuni casi si è registrato il fenomeno di chi si è isolato a tal punto da vivere come gli hikikomori.
Altro problema particolarmente avvertito e segnalato dalle famiglie ha riguardato la didattica a distanza, non solo in relazione al tema della povertà digitale, ovvero alle difficoltà di connettersi alla rete internet o alla disponibilità di strumenti quali pc o tablet, ma soprattutto rispetto alla fatica di seguire le lezioni con i figli o di aiutarli nei compiti; la pandemia ha rivelato in diversi casi una carenza di competenze, che rende difficile accompagnare il percorso di studi. 
Ai beneficiari dei servizi delle Caritas  è stato chiesto quali aiuti avessero ricevuto in Caritas. Oltre a citare gli aiuti concreti (alimentari, economici, ecc) atti a soddisfare i bisogni materiali, molti hanno segnalato lo stile di prossimità degli operatori e dei volontari, come elemento di differenza rispetto ad altri servizi a cui si erano rivolti precedentemente. Alcuni beneficiari hanno riferito che in Caritas si sono sentiti ascoltati, compresi, non giudicati; si sono sentiti accompagnati talvolta anche in situazioni familiari difficili. Lo stile di ascolto e di relazione ha aiutato le persone a non avvertire il senso di abbandono, a rafforzare la propria autostima e a trovare il coraggio per andare avanti e per riprendere le redini di una vita che, talvolta, sembrava essere fuori controllo. 
 
Capacità di reinventarsi
Volontari e operatori hanno invece riportato la loro esperienza in Caritas, durante il periodo del primo lockdown, mettendo in luce la sensazione iniziale di inadeguatezza rispetto all’esigenza di soddisfare richieste di aiuto in una situazione totalmente sconosciuta, nonché la difficoltà di doversi adattare ai cambiamenti dei servizi che si sono dovuti modificare per restare fruibili. Tuttavia, dopo una prima fase di incertezza, il cambiamento è stato spesso vissuto come la capacità di rimettersi in gioco e reinventarsi, per scoprire magari nuove modalità efficaci. È accaduto, per esempio, con l’ascolto telefonico, che inizialmente ha destato diffidenza, perché veniva meno l’incontro in presenza, ma è stato poi rivalutato, perché con il telefono talvolta è stato possibile abbattere le barriere della vergogna soprattutto per i nuovi poveri, non abituati a chiedere aiuto. 
La riscoperta della reciprocità della relazione di aiuto è stato un altro elemento messo in rilievo da operatori e volontari, probabilmente reso più evidente in un periodo in cui le distanze tra beneficiario e operatore si sono accorciate a causa della condivisione dello smarrimento e della paura, davanti all’emergenza sanitaria.
 
Prendersi cura di chi si prende cura
In generale, anche se la maggior parte dei volontari e degli operatori si sono sentiti supportati dai responsabili dei servizi, emerge la necessità di un tempo di riflessione interna.
Prendersi cura di chi si prende cura sembra diventare una delle priorità per aiutare chi si trova di fronte ai traumi dell’emergenza e del cambiamento, e per chi ha dovuto interrompere il servizio a causa dell’età o di problemi di salute. Emerge dunque la necessità di nuovi strumenti di supporto per operatori e volontari:
  • un tempo di riflessione interna, perché si possano condividere le esperienze vissute, prevedendo momenti di narrazione, anche allo scopo di non disperdere gli stimoli nuovi giunti dal tempo della pandemia, ritrovando concretamente e non solo virtualmente lo spirito di gruppo e di comunità;
  • una maggiore capacità di rilevare e conoscere i bisogni reali delle persone nel territorio e, in seconda battuta, l’esigenza di maggiore condivisione con gli operatori e i volontari per supportare più efficacemente le persone in difficoltà, anche al fine di creare servizi nuovi e proattivi;
  • un accompagnamento strutturato e capillare delle parrocchie, non solo in termini di aiuti concreti per soddisfare i bisogni delle persone che a loro si sono rivolte, ma anche per fare fronte alle esigenze di relazione, approccio, metodologia e confronto;
  • una riflessione strutturata sull’accoglienza dei numerosi volontari che si sono avvicinati alla Caritas, spesso giovani che forse avrebbero bisogno di codici linguistici nuovi per essere formati e motivati;
  • la formazione on line, per utilizzare al meglio strumenti di lavoro e di riflessione che hanno sostenuto la comunità, priva della possibilità di incontrarsi;
  • infine l’accelerazione di una serie di processi di cambiamento che erano spesso già nell’aria, ma non si erano ancora espressi in termini di nuovi servizi o di riorganizzazione interna di servizi già esistenti.
 
Vera Pellegrino