Home Page » Attivita' » Progetti » Italia » Emergenza COVID-19 » L'impegno Caritas » Nel mondo » Il cardinale sconosciuto e il primato dei poveri 
Il cardinale sconosciuto e la centralità dei poveri   versione testuale
2 dicembre 2020

Incredulità. Mista a stupore. Per quale motivo il Papa ha deciso di nominare cardinale il vescovo di una diocesi umile e laterale delle isole Visayas, nelle Filippine? La notizia era giunta inaspettata il 25 ottobre scorso. E nella sua stessa diocesi (Capiz) ci si è riferiti al vescovo Joe Advincula come allo «sconosciuto cardinale proveniente da una piccola e insignificante provincia» rurale. Lo stesso è avvenuto sui media filippini e sui social del più grande paese cattolico dell’Asia.
L’ovvio momento di stupore iniziale ha però presto lasciato il passo a osservazioni più ragionate, che riconoscono nel neo-cardinale (uno dei due che, a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia, non ha potuto recarsi a Roma in occasione del Concistoro del 28 novembre) una figura perfettamente in linea con le scelte di papa Francesco per la realizzazione di una Chiesa sempre più aperta alle periferie del mondo. In questo caso asiatiche, e comunque lontane dal centralismo europeo. Ma forse qualcosa di più c’è. Sembra infatti di intravedere, nella berretta rossa attribuita al vescovo Advincula, anche una volontà di portare normalità nei gangli centrali, anche decisionali, della Chiesa mondiale, facendo entrare nel Conclave presbiteri con un curriculum da sacerdoti e parroci - appunto - “normali”, poi divenuti vescovi e buoni gestori di una diocesi, dalla parte del Vangelo.
Di certo ha provato stupore lo stesso ignaro 68enne monsignor Josè Fuerte Advincula , quando gli hanno detto all’ora di cena che era stato nominato cardinale. La sua risposta è stata: «Ma no, ci sono altri vescovi Josè qua nelle Filippine, avrete capito male…». Nel piccolo brindisi, qualche minuto dopo, durante i ringraziamenti a tutti i presenti, la mano con il bicchiere tremava di incredulità.
 
Dignità umana e diritti umani
Un’analisi dell’attività pastorale della diocesi di Capiz, intesa come cartina di tornasole di una Chiesa filippina che va verso i poveri e dà loro centralità, può essere utile per intuire l’orientamento papale. E molto interessanti sono anche le indicazioni che il neo-cardinale, facendo riferimento alla sua esperienza come prete e vescovo di zone rurali, ha offerto nella sua prima intervista a Radio Vaticana, nella quale ha posto grande attenzione al tema della povertà, collegata alla dignità umana e ai diritti umani delle persone: «La Chiesa deve prendere posizione e impegnarsi perché la dignità umana e i diritti umani delle persone siano rispettati. Deve aiutare ad alleviare la povertà. Tutti noi siamo chiamati a questo impegno. L’istruzione è uno dei modi per far crescere le persone, in modo che possano avere più mezzi e guadagnare di più per avere una vita più decente. Queste sono alcune delle cose cui la Chiesa filippina e universale deve porre attenzione».
Parla di diritti, Advincula si riferisce ai diritti di tutte le persone, anche delle minoranze lasciate indietro e ai margini. Sia come vescovo della diocesi di San Carlos sull’isola di Negros (dal 2001 al 2012), sia poi come vescovo di Capiz (sull’isola di Panay), il neocardinale ha attivato programmi di vicinanza e sostegno per le popolazioni indigene, sottomesse da sempre, o quantomeno a partire dalla dominazione spagnola dei secoli scorsi.
Qualche anno fa, un articolo della rivista Italia Caritas raccontava la situazione delle tribù indigene dell’isola di Panay, che il cardinale Advincula conosce bene: «La signora che aiutava mia madre a occuparsi di me e dei miei 11 fratelli era un’indigena Bukidnon di Tapaz, proveniente da questa terra, che ci ha insegnato il suo dialetto e tutte le sue tradizioni. Oggi voglio che la mia diocesi si impegni per aiutare questa popolazione a non essere costretta a emigrare, a disperdere i propri costumi originari a causa della povertà, della mancanza di diritti e dell’assenza di lavoro».
Stare vicino alle minoranze significa concentrarsi sulle attività tradizionali e provare a mantenere vivo lo spirito degli avi. Ed è questo che la diocesi di Capiz, con l’aiuto anche di Caritas Italiana, insieme a molte altre chiese locali nelle Filippine, ha fatto e sta facendo: «Piante di àbaca, riso coltivato con poca acqua sulle montagne, specie vegetali locali come le patate dolci, banane: sono coltivazioni abbandonate, negli ultimi anni, per la confusione sulla proprietà della terra, che la legge dice dovrebbe andare agli indigeni, ma invano – spiega ancora il vescovo di Capiz –. La diocesi si è impegnata ad avviare scuole di formazione agricola sul campo per recuperare queste specie agricole, usando i metodi di coltivazione tradizionale, che rispettano l’ambiente e non inquinano».
 
Grande impegno per l‘istruzione
Le Filippine sono un grande paese, colpito da continue emergenze naturali, in particolare dai tifoni provenienti, con sempre maggiore potenza, a causa del surriscaldamento globale, dall’oceano Pacifico. Il 2013 è stato l’anno del più forte tifone mai registrato sulla terra, il supertifone Haiyan, che ha lasciato una scia di 6 mila morti e milioni di dollari di distruzione, anche nella diocesi di Capiz. Sin dai giorni immediatamente successivi, quando anche Caritas Italiana si è stabilita sull’isola di Panay a lavorare e accompagnare la Caritas locale, l’allora vescovo Josè ha voluto chiarire subito, anche con i propri preti, che «prima aiutiamo la gente, diamo da mangiare, risolleviamo le sorti delle nostre comunità tutte, ridiamo una casa e dignità, e dopo risistemiamo le Chiese e i tetti e gli altari». Questa scelta (che in alcune aree del mondo asiatico non è sempre così chiara) è stata fatta in quell’occasione dall’intera Chiesa filippina, sicuramente ispirata anche dall’allora vescovo di Manila, oggi cardinale Tagle.
Così anche la Caritas locale di Capiz, a cui il vescovo aveva dato questo compito, ha guidato la ricostruzione di centinaia di case in zone lontane e isolate, a favore dei più poveri tra i poveri; ha affidato alle famiglie aiuti finanziari per ricostruire le attività economiche disperse dai venti del tifone e dare loro un futuro; ha favorito la costituzione di gruppi locali di difesa del territorio per migliorare la resistenza ai disastri naturali. La celebrata e reale capacità del popolo filippino di rimettersi in piedi e, quindi, la sua proverbiale resilienza hanno trovato un buon sostegno da parte della Chiesa locale.
Grande impegno, in tutto il paese, è posto da sempre sull’istruzione. Moltissime sono le borse di studio erogate dalla Chiesa filippina, dalle varie commissioni e anche dalle Caritas diocesane. A Capiz, subito dopo il tifone del 2013, la diocesi ha voluto utilizzare parte degli aiuti di Caritas Italiana per costruire un grande centro di evacuazione per le emergenze che potesse, tuttavia, essere usato in tempi normali come scuola professionale. «Sappiamo che l’istruzione è altrettanto determinante – spiegava in quegli anni il vescovo Advincula –. Una scuola solida, che possa essere usata anche come centro di evacuazione, può fare la differenza per i ragazzi che sono stati spinti fuori dal circuito scolastico ordinario. Mi riferisco ai più poveri, le cui famiglie non hanno soldi per pagare libri e uniformi, che vivono lontani, in zone isolate. Abbiamo costruito la scuola “St. Joseph” proprio per loro: assicuriamo ogni anno posti gratuiti, perchè imparare un lavoro è importante». Il “St. Joseph” è diventata la scuola della diocesi di Capiz in grado di promuovere corsi di carpenteria, muratore, idraulico, massaggi tradizionali, saldatura, cuoco e barman, conservazione degli alimenti (carne e pesce), in collaborazione con la struttura governativa per la formazione professionale. C’è anche un forte impegno per la formazione extracurriculare (sportiva, artistica, culturale, formativa, di sensibilizzazione) degli studenti, che possono vivere anche nei dormitori adiacenti alla scuola.
 
Io ascolterò la mia gente
Sia nella diocesi di San Carlos, verso cui il nuovo cardinale ha sempre dimostrato sincero affetto e vicinanza, sia in quella di Capiz, molta energia è stata profusa nella creazione e costruzione di nuove chiese e parrocchie, suddividendo le parrocchie già esistenti. Nelle Filippine le chiamano mission station. In Italia, in un periodo storico in cui sempre meno gente frequenta la Chiesa, sembra strano. Ma a Capiz il vescovo Jose, in poco meno di 10 anni, ha creato 29 nuove mission station, soprattutto in zone montane e in villaggi lontani dalla strade principali, ribaltando completamente la struttura precedente, molto più accentrata e di facile gestione, e spingendo molti preti a cambiare e a riaggiornare le proprie abitudini pastorali.
Andare nelle periferie, in questo caso, non ha significato di certo costruire un edificio o qualche muro in più, quanto andare più vicino alla gente, in modo da vivere con la comunità e dare a tutti la possibilità di esser parte viva della Chiesa: «Probabilmente questo incarico di diventare cardinale dato a me – ha aggiunto Advincula a Radio Vaticana –, di cui sono contento per l’onore che comporta, ma che mi impaurisce un po’ per la responsabilità, è un riconoscimento della fede della gente di Capiz e del lavoro duro dei miei preti, per cercare di piantare i semi della fede in questa parte difficile di mondo».
Un programma di questo tipo si è basato anche sull’ascolto delle esigenze delle comunità, rispettando il motto (Audiam) che Advincula si era scelto diventando vescovo, e che in latino significa “Ascolterò”. Un’analisi approfondita di tutta la diocesi, sfociata in una interessante pubblicazione (cui ha contribuito anche Caritas Italiana), è stata condotta dalla Caritas di Capiz con strumenti sociologici, statistici e d’ascolto; ne sono emersi una fotografia della realtà e un quadro chiaro delle risorse disponibili, base di conoscenza per scelte strategiche e pastorali concrete e realizzabili.
Di nuovo l’ascolto è ritornato, da parte del vescovo Advincula, con una lettera pastorale sul suicidio, in cui sottolinea l’importanza della vicinanza, dell’accoglienza e dell’ascolto di chi è vittima di depressione, o attraversa momenti difficili nella vita: «Come Chiesa siamo chiamati a coltivare la cultura della presenza».
 
Il fitness e la biodiversità
Il corpo ha bisogno di esercizio e di movimento, sostiene il cardinale Advincula. Spesso lo dice ai suoi preti, cui suggerisce di fare sport ogni giorno per stare bene. Ogni mattina alle 6 lo si può ancora incontrare nell’area che circonda casa sua e il seminario minore di Lawaan, nella città di Capiz, a fare la sua camminata veloce per un’ora in pantaloni corti, cappello, pesi da 1 chilo per ogni mano, mentre chiacchiera con altri preti, assistenti e amici, più o meno convinti della bontà del fitness mattutino. «Compro il riso integrale e gli ortaggi dai piccoli agricoltori della mia provincia, bevo decotti di foglie locali tradizionali qui a Capiz – ama raccontare – perché fanno bene e aiutano l’economia locale».
Nelle Filippine, prima dell’enciclica Laudato si’, la Chiesa e la Caritas sono sempre state impegnate in campagne di advocacy contro gli sfruttamenti illegali di miniere e foreste e per la difesa del creato, che si traduce anche nella conservazione della biodiversità. Il cardinal Josè conosce piante e alberi tradizionali dell’isola di Panay, che sempre ha cercato di diffondere in aree deforestate o nei giardini delle parrocchie e dei seminari. Ha suggerito alla diocesi, tramite la Caritas, di dotarsi di un vivaio gestito organicamente e biologicamente, in modo che diventasse esempio per contadini e agricoltori che volevano abbandonare l’agricoltura con pesticidi e aggiornare le antiche tecniche, conservandone, tuttavia, lo spirito di rispetto della natura. La difesa della diversità culturale viene di conseguenza: «Quanta ricchezza c’è nella diversità culturale – dichiarava il vescovo di Capiz a Italia Caritas –. Preservare i balli della tribù dei Bukidnon, la musica degli strumenti tradizionali in bambù, le storie e i miti, la pulizia e limpidezza del fiume Panay, sono un gesti importanti», che portano vita e vera ricchezza, con la gioia del canto e della condivisione.
 
Resterà a Capiz?
In queste settimane molti nelle Filippine si chiedono se il nono cardinale filippino della storia rimarrà vescovo a Capiz, o verrà spostato in un’altra diocesi più grande e prestigiosa. Manila, dopo che il cardinal Luis Antonio Tagle, già arcivescovo della capitale filippina, è giunto a Roma, chiamato da papa Francesco all’inizio del 2020 come prefetto della Congregazione per l‘evangelizzazione dei popoli, non ha ancora un vescovo. Vedremo cosa succederà. Per ora rimane la gioiosa sorpresa di un vescovo di una tranquilla diocesi filippina che ha ricevuto il berretto rosso da cardinale senza motivazioni apparentemente mutuabili dal passato. Anche questa è la Chiesa di papa Francesco.
 
Matteo Amigoni