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Immigrazione, è tempo di scelte   versione testuale
3 febbraio 2021

Il 2020 è stato un anno di grandi sfide, sotto molti punti di vista, anche sul versante dell'immigrazione. A livello politico si sono registrate numerose aperture, tese a promuovere una serie di cambiamenti sul fronte normativo, ma contemporaneamente si è confermato un atteggiamento di chiusura e controllo rigido delle frontiere, con l’obiettivo di “filtrare” e diminuire gli arrivi di persone, pur se potenziali beneficiarie di protezione internazionale in Italia. Eppoi si è manifestato naturalmente il grande tema della gestione dell’emergenza sanitaria, che ha impattato e tuttora sollecita fortemente tutto l’ambito dell’accoglienza. Questioni che rimangono aperte, e che il nuovo esecutivo che nascerà dalla crisi non potrà scansare.
 
Domande di emersione, verifica lenta
Dunque aperture sì, ma mirate e con il contagocce. Basti pensare alla procedura di emersione dal lavoro irregolare, varata a giugno, con l’obiettivo di sanare rapporti di lavoro informali e di consentire al cittadino straniero con permesso di soggiorno scaduto di regolarizzare la sua posizione, sempre che abbia in precedenza lavorato in uno dei settori per i quali è consentita l’emersione (agricoltura, pesca o silvicoltura, lavoro domestico e di cura della persona).
Durante la “costruzione” della procedura da parte del Governo, Caritas Italiana, insieme ad altre organizzazioni impegnate a tutela dei diritti dei migranti, aveva sottolineato l’importanza di allargare i settori lavorativi ad altri nei quali folta è la presenza dei lavoratori migranti (edilizia, turismo, ecc..), ovvero di considerare un termine più lungo di scadenza del precedente permesso di soggiorno, nonché di prevedere garanzie per il lavoratore da regolarizzare in caso di ripensamento o decesso del datore di lavoro.
I primi dati ufficiali sulla procedura, forniti alla scadenza del temine per la presentazione della domanda, hanno posto in luce come l’85% delle istanze presentate abbiano riguardato il settore domestico e di cura della persona; segno che uno degli importanti obiettivi della procedura – ovvero colpire l’illegalità diffusa nel mercato del lavoro agricolo – non è stato centrato. Intervenire in quell’ambito, le cui dinamiche sono assai differenti da quelle del lavoro domestico, richiedeva evidentemente una strategia complessiva più articolata, a partire dalla considerazione che è estremamente difficile, se non utopistico, per un lavoratore impiegato nei campi o nelle stalle, spesso vittima di ricatti e ritorsioni, avanzare all'imprenditore la richiesta di legalizzare il rapporto di lavoro; inoltre la stagionalità dei raccolti, e la circolarità di movimento e spostamento nei territori da parte dei lavoratori, non favorisce, in molti contesti, la stipula di contratti a lungo termine.
Attualmente si è in fase di verifica delle domande, ma la procedura prosegue molto – troppo – lentamente, perché molti dei quesiti posti dalle organizzazioni e dai patronati sono rimasti senza risposte o soluzioni; soprattutto, come si diceva, molto complessa e lenta è la gestione del subentro nella domanda di un nuovo datore di lavoro, ipotesi non infrequente, considerati i lunghi tempi della procedura di emersione; analoghi problemi riguardano la verifica di alcuni requisiti della domanda (idoneità alloggiativa) e alcune condizioni per la formalizzazione (come le convocazioni in presenza di chi ha presentato domanda).
Sarebbe pertanto opportuno che, decorsi sei mesi dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande, si accelerasse la procedura volta alla loro definizione, dando, ad esempio, precise istruzioni alle prefetture e alle questure di completare la procedura di regolarizzazione per via telematica.
 
Accoglienza, servono bandi sostenibili
Il varo della procedura di emersione è stato uno dei passi di “apertura” del governo Conte 2 e ha preceduto la riforma della legge 132/2018 (di conversione del decreto legge 113/2018, meglio noto come decreto Salvini), varata dal Conte 1. Anche questo era un passaggio atteso da tempo e non scontato: la conversione in legge del decreto 130/2020 (intervenuta con la legge 173/20) è stata a rischio fino all’ultimo giorno utile.
La riforma apporta importanti correttivi alle previsioni restrittive introdotte nel 2018, in particolare rafforza il permesso di soggiorno per protezione speciale, ripristinando in parte la tutela che era garantita in precedenza alle situazioni alle quali veniva riconosciuta la protezione umanitaria; inoltre rende convertibili – e dunque più stabili ai fini dell’integrazione – una serie di permessi di soggiorno oltre a quelli per protezione speciale, ad esempio quelli per motivi religiosi, ovvero per l'assistenza di minori.
Importante è anche la modifica che pone fine a una questione più volte sollevata dinanzi alla magistratura, e che stabilisce finalmente che il richiedente protezione internazionale, a cui sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, ovvero la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale, venga iscritto nell'anagrafe della popolazione residente.
Auspicati erano anche interventi normativi di riforma del sistema di accoglienza. In tal senso è stata reintrodotta dal decreto 130/2020 l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in strutture del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai, ex Sprar-Siproimi), gestite dagli enti locali. Viene a tale riguardo previsto che il sistema di accoglienza e integrazione eroghi servizi di primo livello, a cui hanno accesso i richiedenti protezione internazionale, e servizi di secondo livello – finalizzati all’integrazione – a cui hanno accesso ulteriori categorie di beneficiari.
Attualmente sono in fase di “costruzione” i nuovi bandi per l’attivazione e il finanziamento dei progetti di accoglienza. Con essi, anche il nuovo schema di capitolato di appalto dei servizi di accoglienza, contenente le nuove regole per comporre l’offerta per l’aggiudicazione. Schema non ancora approvato, ma sembra prevista la reintroduzione di una serie di servizi alla persona, di fatto esclusi dalle gare post decreto Salvini e dalle successive convenzioni per la gestione dei Centri di accoglienza straordinari (Cas); l’auspicio è che il nuovo governo reintroduca livelli, per tipologia di servizio, che garantiscano l'adeguatezza e la sostenibilità degli stessi.
 
Titolo di soggiorno, tempi da abbreviare
L’impatto della pandemia, poi, ha posto una serie di sfide tuttora da gestire, e che il nuovo esecutivo non potrà trascurare. Sotto il profilo della necessità di garantire uno status legale ai cittadini stranieri che dovevano rinnovare il proprio permesso di soggiorno proprio durante il lockdown (e in concomitanza con la conseguente chiusura – o funzionamento estremamente ridotto – degli uffici pubblici), come noto è stata prolungata, con decreti ripetuti, la scadenza dei permessi di soggiorno: da ultimo, il decreto legge 2/21 ha disposto che i permessi conservano la loro validità fino al 30 aprile 2021.
Uno degli effetti del blocco (a marzo-maggio 2020) e del rallentamento poi (da maggio ad adesso) del funzionamento degli uffici della pubblica amministrazione coinvolti nelle pratiche di rilascio di un titolo di soggiorno ai cittadini stranieri sono le oltre 140 mila richieste di asilo in attesa di risposta da parte delle autorità italiane. La maggioranza (quasi 95 mila) aspetta il responso delle Sezioni immigrazione dei tribunali, che decidono sui ricorsi contro le bocciature delle domande da parte delle Commissioni territoriali del ministero dell’Interno, cui spetta il primo esame delle richieste. Le pendenze si sono impennate soprattutto nel 2019 (+53% rispetto all’anno prima), spinte dall’aumento dei nuovi ricorsi. Anche i tempi di decisione si sono dilatati ben oltre i quattro mesi previsti dalla legge, che i tribunali non riescono a rispettare: nella maggior parte si superano i 15 mesi e in alcuni casi si arriva a tre anni, come rivelano i dati recentemente raccolti dal Sole 24 Ore del Lunedì presso le sezioni immigrazione.
L’onda dei ricorsi si è poi allungata in Cassazione, che decide sulle impugnazioni delle decisioni dei tribunali: le pendenze a fine 2020 erano 13.101, il 153% in più di due anni prima. Ridotte a 33.808, invece, le domande oggi in attesa di fronte alle Commissioni, sia per il rafforzamento di questi organismi, sia per il calo degli arrivi dei migranti dopo il boom del 2017.
Sarà dunque di fondamentale importanza, nel 2021, tentare di colmare i ritardi nell’implementazione delle norme introdotte per garantire la regolarità e i percorsi di integrazione dei cittadini stranieri, adottando procedure che possano velocizzare la definizione degli status giuridici delle persone che la pandemia ha posto in un limbo di lunghissima durata.
 
Vaccino, bisogna coinvolgere
Un capitolo a parte merita la gestione dell’emergenza sanitaria nelle strutture di accoglienza,  questione entrata molto in ritardo nell’agenda delle istituzioni coinvolte, e che ha lasciato gli enti gestori nella necessità di attivare procedure e soluzioni senza il necessario raccordo con le autorità sanitarie, e senza opportune indicazioni di procedure da seguire per tutelare ospiti e operatori.
Anche su stimolo e sollecitazione delle organizzazioni di tutela dei migranti, che premevano per avere uno spazio di discussione delle problematiche sanitarie nelle strutture di accoglienza, a fine luglio il ministero della Salute ha pubblicato le Indicazioni operative ad interim per la gestione di strutture con persone ad elevata fragilità e marginalità socio-sanitaria nel quadro dell’epidemia di Covid-19, redatte dall’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà). le Indicazioni operative sono state successivamente trasmesse, per il tramite del ministero dell’Interno e dell’Anci, alle Prefetture e ai progetti territoriali di accoglienza; tuttavia, agli enti impegnati nell’accoglienza è parso subito chiaro che tali indicazioni presentassero criticità attuative. In particolare, da un secondo monitoraggio svolto fra le reti dell’accoglienza a ottobre 2020, è emersa la difficoltà degli enti gestori nell’applicare le Indicazioni operative per garantire l’isolamento delle persone accolte nelle piccole strutture; è stata inoltre lamentata l’assenza di indicazioni specifiche per alcune tipologie di accoglienza, come quella delle vittime di tratta (in tal caso soprattutto per quanto attiene alle strutture di pronto intervento sociale), ovvero per i beneficiari dei corridoi umanitari, nonché in riferimento ai casi in cui non ci siano condizioni oggettive che consentano un intervento migliorativo (per esempio, relativamente alle persone che vivono in insediamenti informali e ai senza dimora). In generale, si è evidenziata come criticità del documento “l’aver affrontato in modo congiunto situazioni e contesti estremamente diversi”; è stata inoltre sottolineata la mancanza di indicazioni relative ai ruoli, alle responsabilità e alle tempistiche rispetto alle misure indicate. 
I problemi imposti dalla pandemia sono certamente inediti e di difficile gestione, ma confermano che sarebbe opportuno lavorare sempre prevedendo ipotetiche situazioni di crisi, e coinvolgendo in anticipo il privato sociale, o comunque le organizzazioni asttive nell’ambito. Invece a distanza di quasi un anno dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, per i gestori dell’accoglienza continuano a persistere difficoltà organizzativa e di raccordo con il sistema sanitario e delle aziende pubbliche che lo incarnano. Ora, per di più, il tema dei vaccini presenta una sfida da affrontare senza indugi, in particolare fornendo precise indicazioni sulle modalità di identificazione e inclusione delle persone fragili, ospiti delle strutture di accoglienza, nella seconda fase della campagna vaccinale, nonché sulle modalità organizzative e sulle procedure di esecuzione della vaccinazione (ivi inclusa la tipologia di vaccino che verrà utilizzata) a beneficio degli ospiti delle strutture di accoglienza e degli operatori.
L’auspicio è che si realizzi un attivo coinvolgimento dei soggetti beneficiari del vaccino (sia degli operatori che degli enti gestori e delle organizzazioni coinvolte nella gestione delle strutture di accoglienza) in attività di informazione ed educazione sanitaria, allo scopo di evitare la circolazione di fake news, disinformazione e pregiudizi nei confronti del vaccino.
 
In frontiera, valori da rispettare
Infine, caldo rimane e rimarrà, anche nel 2021, il tema del controllo delle frontiere e dei diritti delle persone che, numerose, tentano di attraversare la frontiera orientale, fuggendo da persecuzioni e conflitti dai loro paesi. Le notizie delle violenze che affrontano lungo la Rotta balcanica, e i ripetuti respingimenti alla frontiera messi in atto nei confronti dei migranti, allarmano quotidianamente Caritas e le organizzazioni di tutela impegnate nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalla normativa internazionale. Il muro del silenzio lungo questa rotta sta cadendo: le istituzioni europee e nazionali sono richiamate a scelte improntate e a un'assunzione di piena responsabilità, nel rispetto dei valori che innervano le loro leggi fonamentali.

Manuela De Marco