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Italia diseguale, ma non a causa della pandemia    versione testuale
14 aprile 2021

Due anni fa, quando il Forum Disuguaglianze Diversità usciva con il suo rapporto 15 proposte per la giustizia sociale, fece precedere la presentazione delle proposte per accrescere la giustizia sociale da un’analisi delle disuguaglianze in Italia.
I dati restituivano la fotografia di un paese fortemente squilibrato. L’indice di Gini, utilizzato per misurare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, aveva smesso di ridursi ed era tornato a valori simili a quelli degli anni Settanta. La quota di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale era in crescita ed erano ancora marcate le disuguaglianze di genere e generazionali. La crescita delle disuguaglianze, attestavano i dati, aveva colpito prevalentemente i più vulnerabili (nel 2016, ad esempio, quando il reddito pro capite ricominciava a crescere dopo la contrazione del 2008 per la generalità della popolazione, per il 40% più povero c’è stata una contrazione dell’1% circa), mentre la situazione migliorava per i ceti già forti, come mostravano i dati sulle disponibilità economiche e patrimoniali della popolazione più ricca (tra 2006 e 2016, ad esempio, la quota di ricchezza detenuta dai 500 mila adulti più ricchi d’Italia è più che raddoppiate).
Ma non c’erano (e non ci sono) solo le disuguaglianze economiche. In Italia esistevano (ed esistono) fortissime disparità, soprattutto territoriali, anche riguardo all’accesso e alla qualità di servizi essenziali come l’istruzione, la salute e la mobilità. E questo acuisce le “disuguaglianze di riconoscimento”, vale a dire la percezione, maturata da una larga parte della popolazione, che vive prevalentemente nelle aree marginalizzate, di non vedere riconosciuti i propri bisogni e le proprie aspirazioni.
 
Povertà, massima diffusione da 15 anni
La pandemia da Covid-19, quindi, si è inserita in uno scenario già assai preoccupante. Ha funto da “detonatore”, facendo esplodere una situazione già drammatica, o se si vuole da “faro”, mettendo in luce e portando alla ribalta in modo stabile temi che rientravano nella cronaca o nello spazio della discussione politica solo in occasione della pubblicazione di nuovi dati, rapporti e informazioni statistiche, per poi tornare, immediatamente dopo, nel dimenticatoio.
Con quella che ormai abbiamo imparato a conoscere come “la prima ondata”, nella primavera 2020, ci siamo resi conto delle tante cose che già non andavano nel paese. Migliaia di bambine e bambini lasciati indietro, sul versante educativo, perché mancavano degli strumenti o del supporto necessario per la didattica a distanza. Il carico di cura che pesa ancora troppo spesso esclusivamente sulle donne. Un mercato del lavoro frammentato, caratterizzato da enormi differenze tra i “garantiti” e i “non garantiti”. Un sistema sanitario frammentato e fortemente diseguale, per cui l’accesso alle cure dipende dal luogo di residenza. Una pubblica amministrazione spesso inefficiente. L’incapacità degli stati europei, soprattutto nelle prime fasi della pandemia, di cooperare.
A un anno di distanza dal primo lockdown, i dati sulla povertà e sull’andamento del mercato del lavoro confermano le preoccupazioni espresse allora. Secondo le stime preliminari dell’Istat, rispetto allo scorso anno un milione di persone in più vive in condizioni di povertà assoluta; 5,6 milioni di persone (quasi il 10% della popolazione) non riescono ad avere accesso al paniere di beni e servizi giudicato essenziale per conseguire uno standard di vita accettabile.
Dopo il lieve calo osservato nel 2019 rispetto all’anno precedente, nel 2020 la povertà dunque non solo è tornata a crescere, ma ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 15 anni. E se questi sono i dati, vuol dire che le misure di sostegno al reddito messe in campo per contrastare gli effetti della crisi non sono state sufficienti. Certo, in assenza di strumenti come il Reddito di cittadinanza o il Reddito di emergenza la situazione sarebbe stata ancora più drammatica. Ma tanti restano ancora scoperti da qualsiasi forma di protezione sociale. La povertà è cresciuta soprattutto al Nord – sebbene sia ancora il Mezzogiorno l’area più povera del paese – e colpisce prevalentemente donne, minori e migranti. Infine, è cresciuto il fenomeno dei cosiddetti working poor, vale a dire le persone che, pur lavorando, non riescono a raggiungere standard di vita al di sopra della soglia di povertà, come dimostra la crescita dell’incidenza della povertà tra le famiglie con persona di riferimento occupata.
 
Miliardari, sempre più ricchi
Altri dati, relativi al mercato del lavoro, sono altrettanto preoccupanti. Nell’ultimo anno sono andati persi 945 mila posti di lavoro. A essere maggiormente penalizzati sono stati i lavoratori e le lavoratrici con contratto a termine o autonomi e, ancora una volta, i giovani.
Contemporaneamente, mentre aumentava il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà, così come quello dei disoccupati, i ricchi hanno visto crescere i loro patrimoni. Secondo l’ultimo rapporto Oxfam, in soli 9 mesi i patrimoni dei mille miliardari più ricchi del mondo sono tornati ai livelli pre-pandemici, mentre per le persone più povere del mondo la ripresa potrebbe richiedere più di dieci anni. Tra marzo e dicembre dello scorso anno, la ricchezza dei miliardari è cresciuta di 3.900 miliardi di dollari, raggiungendo complessivamente la cifra spesa dai governi del G20 in risposta alla pandemia; per i soli 10 più ricchi al mondo, il patrimonio è aumentato di 540 miliardi.
È evidente che la pandemia non è la causa diretta di questo stato di profonda diseguaglianza, a livello nazionale o globale, e che ha “semplicemente” accelerato l’impatto di problemi già esistenti. Si svela, invece, uno scenario preoccupante per diversi motivi: le ricadute economiche, sociali e ambientali che determinerà; il perpetuarsi per generazioni di diffuse condizioni di disagio; l’impatto sul potenziale di crescita del paese e sulla sua tenuta democratica. Siamo in presenza di dati che rendono evidente l’urgenza di intervenire sulle disuguaglianze sia con interventi pre-distributivi, in grado di incidere sui meccanismi di formazione della ricchezza, che redistributivi, cioè deputati a equilibrare la diffusione della ricchezza prodotta. È una sfida che il nostro paese non può eludere.
 
Patrizia Luongo Forum Disuguaglianze Diversità