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Miscela esplosiva, diaspora continua   versione testuale
30 aprile 2020

«Un paese facile non lo è mai stato. Questo è un popolo che scappa». Giudizio lapidario, e solo apparentemente ingeneroso. Perché aderente alla realtà dei fatti. Come testimoniano i numeri. I cittadini residenti in altre nazioni sono 3 milioni, quelli registrati come residenti in patria 2,8 milioni. E la tendenza all’esodo, che sembrava affievolita negli ultimi anni, si era già decisamente rimessa in moto, causa terremoto e altre vicende, a cavallo tra fine 2019 e inizio 2020. Poi è arrivato il virus, a congelare la quotidianità di un paese inquieto e in fermento. In prospettiva, quando la blindatura imposta dal Covid verrà allentata, la propensione a cercare opportunità altrove, in Europa e nel mondo, potrebbe riesplodere con prepotenza. «L’Albania tiene il piede in due staffe», è l’immagine riepilogativa. Comprovata dal passato recente, verosimile se proiettata nel futuro prossimo.
Ettore Fusaro, operatore di Caritas Italiana, l’Albania la conosce dai tempi della crisi dei profughi del Kosovo. Più di due decenni di frequentazione intermittente, ma approfondita. Prima dell’irruzione del virus, Fusaro seguiva progetti di supporto ai minori a rischio di emigrazione, sulla salute mentale e la disabilità. Ora, insieme a Caritas Albania e all’intera rete Caritas, si destreggia tra l’esigenza di non spezzare i fili di quelle iniziative, la necessità di dare una mano ai terremotati di fine 2019 e un severo lockdown, che sconfina nel coprifuoco serale e notturno e rende ogni operazione e ogni relazione più difficili, anche se ha obiettivamente contribuito a tener basso i numeri del contagio da Coronavirus. «I primi casi si sono manifestati a inizio marzo – sintetizza Fusaro –, anche per effetto del ritorno di migranti da paesi già intaccati dal virus. Allora il governo ha adottato misure rigidissime, inclusa la chiusura dei confini terrestri e marittimi alle persone. Sono stati allestiti due ospedali integralmente dediti alla cura dei malati da Covid, la prudenza e la tempestività non sono mancate. Risultato: a metà aprile, “soli” 25 morti su 450 casi di positività. Il grosso dei quali a Tirana, la capitale in cui vivono quasi un terzo degli abitanti de paese. Però non c’è una mappatura delle zone rurali. Dove il contagio potrebbe aver fatto danni non registrati».
 
Era un’illusione ottica
Alle misure di contenimento sanitario, stanno ora facendo da complemento le misure di contenimento dell’incipiente crisi economica. Le due principali certezze dell’economia albanese sono state, negli ultimi anni, le rimesse dei migranti e i proventi del turismo: «La depressione da Covid fa traballare questi due pilastri. L’economia albanese era ancora in una fase espansiva, anche se funzionava tutto sommato per i soliti noti…». Ora gli investimenti hanno subito uno stop, e i prezzi si stanno impennando, minacciando di diventare proibitivi per i titolari di stipendio medio. In più, persistono i nefasti effetti del terremoto che il 26 novembre ha scosso la regione centrale e più urbanizzata del paese, causando più di 50 morti e danneggiando 11 mila abitazioni private, in molte delle quali non c’è ancora possibilità di rientro. I 17 mila sfollati e tuttora “attendati” sono tra i principali indiziati a cercare l’avventura all’estero, quando l’epidemia rallenterà e le restrizioni della libertà di movimento si attenueranno.
Si torna così allo condizione da “diaspora permanente” in cui versa l’Albania contemporanea. Negli ultimi tempi sembrava essersi rarefatta. Ma era un’illusione ottica. «Da tre anni a questa parte l’Albania era il primo paese al mondo per numero di cittadini richiedenti asilo all’estero, in rapporto alla popolazione (6,6 ogni mille residenti). Certo, la richiesta era ed è spesso strumentale, programmata e avanzata per guadagnare tempo e prolungare la presenza nel paese d'arrivo, oltre i permessi temporanei. È il caso dei tanti minori non accompagnati 16 o 17enni, disposti a farsi qualche mese in strutture d’accoglienza, per tentare il ricongiungimento a parenti o conoscenti appena scoccati i 18 anni».
 
Poco problematico uscire
Il terremoto e poi la paura di Covid hanno portato a dama questa rinvigorita tendenza all’emigrazione. In tre mesi, da dicembre sino al blocco delle frontiere, erano espatriati ben 116 mila albanesi. Anche perché dal Paese delle Aquile è relativamente poco problematico uscire, e in alcuni stati, Italia in primis, vige una sorta di “mimetismo degli albanesi”, a significare la relativa facilità di trasferimento e inserimento, sfruttando le reti migratorie consolidatesi negli anni, una certa affinità culturale e la facilità di apprendimento linguistico.
Così, Covid in Albania fa paura più per il suo intrecciarsi con le conseguenze irrisolte del sisma (l’inizio della ricostruzione è stato centralizzato dal governo e stenta a decollare, mentre le ong, inclusa Caritas, debbono limitarsi ad azioni lenitive, come portare aiuti d’urgenza a chi sta in tenda), con una crisi istituzionale ormai endemica e paralizzante (che vede contrapporsi aspramente capo di stato e capo del governo), soprattutto con lo spettro del baratro in cui potrebbe sprofondare un’economia effervescente ma non matura.
L’effetto lo immaginano tutti: una nuova stagione di esodo generalizzato, che non potrà non depauperare la società albanese. Né evitare di influire sul percorso di adesione all’Ue, faticosamente reincardinato sui giusti binari a fine marzo, grazie all’accordo politico che condurrà all’apertura dei negoziati (che riguardano anche la Repubblica di Macedonia del Nord), dopo che nel 2019 la questione aveva preso una brutta piega. «Sulla sterzata degli organismi e dei governi europei ha pesato il timore che il paese possa finire nella sfera d’influenza di altre potenze, dalla Russia alla Turchia ai paesi arabi. Ma ora nel paese ribolle una miscela potenzialmente esplosiva», conclude Fusaro: se il pendolo della diaspora tonerà a battere alle porte dei paesi confinanti, le reazioni potrebbero essere tutt’altro che accoglienti. E la storia di Albania si troverà al’ennesimo tornante di una risalita verso le vette della stabilità e del benessere che sembra non dovere aver mai fine.
 
Paolo Brivio