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Trento, bottiglie per tessere relazioni   versione testuale
27 maggio 2020

Quando il giorno lascia spazio alla notte, / le lacrime non concedono tregua / e la vita si riduce a spasmi di conforto sempre più corti, / ricordati tu sei unico nel mondo. / Non sei unico per i tuoi difetti / men che meno per i pregi, / ma perche nessuno potrà dire di aver superato le tue difficoltà. / Diventa il campione di te stesso, / perche noi contadini di vita / all’arcobaleno preferiamo la pioggia. Una poesia densa, sofferta, ma aperta alla speranza. Versi indirizzati dal loro autore a “detenuti, senza fissa dimora, sfiduciati”. Un messaggio in cerca di destinatari lontani, nei giorni della tempesta sanitaria. Affidato ai social network, bottiglie digitali cui ricorrono i naufraghi dei nostri giorni.
“Messaggi in bottiglia” è proprio il titolo che la Caritas diocesana di Trento ha dato a una piccola, ma toccante iniziativa. Nata da una newsletter e da un’immagine. «La newsletter è quella per favorire il collegamento tra gli operatori e i volontari della Fondazione Comunità Solidale, nostro braccio operativo – racconta il direttore Alessandro Martinelli –. Nelle settimane più dure dell’emergenza, ci siamo rappresentati come una terraferma invasa dalle acque incontenibili dell’epidemia, che tra gli altri effetti avevano anche quello di separare ciascuno dagli altri. Ognuno di noi si sentiva un’isola, eppure avvertiva la necessità di comunicare e condividere. Pensieri, sentimenti, preghiere. È nata così l’iniziativa dei “Messaggi”. Che abbiamo lanciato sui social e aperto oltre i nostri consueti circuiti, a fedeli e cittadini».
Persone che cercano persone, anche nella lontananza. Che se ne prendono cura, anche e soprattutto sul piano morale, emotivo, psicologico. Cittadini più protetti e più garantiti, sebbene nessuno lo sia stato in assoluto, negli ultimi tre mesi, che incoraggiano persone scivolate ai margini, escluse, sofferenti. O ringraziano chi, mettendo a repentaglio se stesso, ha provato a contenere il virus con le armi della medicina e dell’assistenza. L’iniziativa dei Messaggi ha avuto successo. E se non ha riempito la borsa della spesa o ridotto il debito a nessuno, ha però contribuito a dimostrare una cosa. Che è anche «uno degli insegnamenti fondamentali – avverte Martinelli – che dovremo portare con noi, quando avremo superato il tempo dell’epidemia. E cioè che l’efficientismo della prestazione sociale non deve essere il nostro traguardo. L’insegnamento ci riconduce a un concetto cardine, quello di “essenzialità”: essenziale, anche e soprattutto per noi Chiesa, anche per noi Caritas, è curare le relazioni tra persone, cuore del servizio di carità».
 
Fragilità del welfare, crucialità della rete
Un altro insegnamento fondamentale che la Caritas diocesana ha ricavato dai giorni amari del virus – forse non totalmente inedito, ma sicuramente rafforzato dal contesto eccezionale della crisi – riguarda la crucialità del fare rete, dell’agire per via di alleanze. In un territorio, di fronte a un problema complesso, nessun soggetto – istituzionale o informale, pubblico o privato – ha risposte esaustive. «Qui in Trentino – ammette Martinelli – consideravamo eccellenti, per certi versi non a torto, gli standard del nostro welfare. E a quell’eccellenza ci eravamo in un certo senso abituati. L’epidemia ci ha rivelato alcuni punti di fragilità». A cui sarà l’intera comunità a dover sopperire, interrogandosi – in una prospettiva di collaborazione – su ciò che è da rivedere, e su come rivederlo.
D’altronde un’emergenza, per quanto dolorosa e luttuosa (e anche in Trentino lo è stata parecchio) finisce sempre per essere levatrice di novità. E di confortanti sorprese. La Caritas ha lavorato a fondo, attivando la rete delle parrocchie e mantenendo funzionanti molti dei circa 40 centri d’ascolto presenti in diocesi. A supporto, ha attivato la linea telefonica solidale #iotisonovicino. E così, nonostante l’inevitabile passo indietro dei tanti volontari over 65, è riuscita a far fronte alla quadruplicazione, in marzo, delle domande di aiuto alimentare, a raccogliere e in parte a rispondere agli affanni dei tanti rimasti senza entrate anche nei distretti economici più famosi e robusti (braccianti della frutta in val di Non, lavoratori della ristorazione e della ricettività turistica nelle valli di Fiemme e Fassa), a registrare le nuove ansie di piccoli artigiani e commercianti, soggetti prima mai censiti nei centri d’ascolto. All’inizio questo popolo impaurito chiedeva cibo, oggi chiede di poter far fronte al pagamento di bollette, affitti, mutui, debiti, e in definitiva chiede barlumi di futuro: «Proprio per questo, stiamo pensando, come Chiesa locale, a dar vita a un Fondo diocesano, che coordini le risposte di sostegno economico nell’intero territorio».
 
Che pensiero avranno di noi?
Sul fronte dell’accoglienza, quasi tutti i servizi (numerosi) sono rimasti aperti, sebbene ridisegnati quanto alle modalità organizzative. Anche in questo caso, con positive, rincuoranti sorprese. «I nostri dormitori notturni di Trento e Rovereto sono stati trasformati in “case” funzionanti per l’intera giornata. Con un interessante esperimento di autogestione, alla Casa Santa Maria, nel centro del capoluogo: 24 persone senza dimora che hanno dimostrato di saper badare a se stesse, organizzando turni di pulizia e cucina, ridipingendo locali, persino recuperando a orto un pezzo di terreno. All’inizio si sono conformate alle regole forse per paura, poi nell’emergenza hanno tirato fuori insospettabili doti di responsabilità».
E così c’è stato del buono, nel tempo della sofferenza. Un buono inatteso, come inatteso è stato il flagello. Un buono che ribalta percezioni. E autopercezioni. «“Che pensiero avranno di noi?”: me l’hanno chiesto molti nostri operatori – conclude Martinelli – a proposito della comunità pastorale dei distretti Main-Taunus e della città di Francoforte, entrambi nella diocesi di Limburg, Germania centro-occidentale. Durante i mesi della pandemia ci hanno “adottati”, nel quadro di una sorta di gemellaggio: invio di fondi economici da destinare alle nostre attività, scambio di messaggi, momenti di preghiera. È un rapporto che continua, che continuerà. Che getta le basi per una considerazione più ampia e solidale dell’idea di comunità cristiana, all’interno dello spazio europeo». E che aiuta, mentre si aiuta, a mettersi nei panni di chi è aiutato.
 
Paolo Brivio