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Maldive, ferie forzate nel paradiso senza turisti   versione testuale
4 settembre 2020

Dalla palma da cocco più alta il mondo si vede meglio: spiaggia bianchissima, sabbia che già gli occhi intuiscono essere finissima e calda, poche barche, acqua limpida cristallina vicino alla riva, blu profondo al largo e oceano a perdita d’occhio. Qualche nuvola bianca leggera tenta di intaccare la perfezione di un cielo terso, ma una brezza la riporta al di là degli orizzonti. 
Ahmed sfronda le palme da cocco da almeno dieci anni, e pulisce anche il giardino del resort, sistema le piante, coglie i fiori bianchi di frangipani per farne profumate decorazioni da camera, si assicura che i vialetti siano sempre spazzati dalla sabbia. 
Benedice silenziosamente, forse senza nemmeno saperlo, quelle famiglie di stranieri, i foreigners, che sono venuti qui in questo sperduto atollo maldiviano anche adesso, nonostante tutto e con la sola voglia di chiudere fuori la paura.
E deve benedire anche il governo delle Maldive, che ha deciso di riaprire in relativa fretta il proprio paradiso ai turisti. 
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La Repubblica delle Maldive è una delle pochissime nazioni asiatiche che è ancora accessibile al turismo internazionale, se non l’unica.
L’arcipelago deve al turismo il suo grado di sviluppo, una buona parte dei suoi servizi e la sostenibiltà economica. Oltre il 25% del suo Pil, infatti, è direttamente derivante dal turismo, ma se si tiene in considerazione anche l’indotto nel 2018 più dei due terzi dell’economia maldiviana, secondo la Banca Mondiale, sono stati garantiti grazie al turismo internazionale.
Per un paese cosi, la chiusura per Covid avrebbe significato, più che per altri, il collasso dell’economia e anche della pace sociale. Pace peraltro difficile, sempre sul filo del rasoio delle tensioni tra fazioni politiche, degli estremismi religiosi finora ben controllati, degli interessi di clan.
Un crollo improvviso di una porzione consistente dell’economia significherebbe un aumento esponenziale delle tensioni, gli equilibrismi politico-economici salterebbero e con essi si ri-attiverebbe la “miccia maldiviana”, che è sempre calda e di tanto in tanto dà prova di sé.
Non sono mancati anche negli ultimi anni, infatti, episodi di violenza interna, di debolezza politica e di corruzione. Episodi che, sebbene riguardino la piccolissima repubblica islamica persa nell’Oceano Indiano, rischiano in realtà di minare la tranquillità della regione.
Lo sanno bene India e Cina, i giganti dell’Asia che guardano con attenzione tutte le nazioni a loro circostanti, e un occhio di riguardo riservano alle isole, territori impagabili, dal punto di cista strategico, per il mantenimento degli equilibri o la destabilizzazione pilotata degli stessi.
Proprio Cina e India sono peraltro anche gli stati da cui proviene la maggior parte dei turisti che atterrano alle Maldive: solo nel 2019 più di 250 mila cinesi hanno visitato l’arcipelago, seguiti, appunto, dagli indiani. In terza posizione, gli italiani.
 
Stipendi negati per 11 mila
Ahmed accompagna il lavoro con un fischiettare spensierato, che mette di buon umore, e pensa ad Hassan, il suo bimbo di 6 anni, che lo aspetta nell’atollo al Sud, dove la sua famiglia vive da sempre.
Non capisce, Ahmed, perché Asanka e Raju sorridano meno, parlino poco e lavorino nervosamente. Ma i due colleghi sono corrucciati perché sanno che i loro figli aspettano invano, in Sri Lanka e India, che i padri inviino il denaro. O almeno che tornino sani.
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Durante le settimane di lockdown totale che sono state imposte anche alle Maldive, tra aprile e giugno, i lavoratori del settore turistico sono rimasti praticamente senza stipendio. A causa dei mancati introiti, infatti, i gestori degli alberghi, ma anche dei grandi e lussuosi resort, hanno imposto ai lavoratori le ferie forzate e non pagate, lasciando praticamente alla fame migliaia di famiglie, in patria e all’estero.
Secondo fonti del sindacato per i lavoratori del settore turistico, almeno 11 mila persone si sono viste negare lo stipendio. E le trattative sindacali hanno portato solo risultati parziali, con una piccola porzione di resort che ha garantito lo stipendio ai dipendenti, in attesa del reintegro in servizio. 
Gli stranieri, lavoratori migranti dalle nazioni vicine, nell’arcipelago sono circa 100 mila, ovvero un quarto della popolazione maldiviana. Essi sono, come spesso accade, l’anello più debole della catena turistica: non solo risultano essere i primi lasciati senza stipendio e senza protezione, ma ora sono anche quelli a maggior rischio di infezione da Covid -19.
I servizi sanitari nei resort e negli alberghi, infatti, sono molto carenti, e l’accesso al servizio sanitario pubblico, per i lavoratori stranieri, è spesso un tortuoso percorso a ostacoli. E quando si è infettati dal Covid, il percorso tortuoso – caratterizzato dalla vicinanza stretta con altre persone, come accade nei dormitori per i lavoratori dei resort – è qualcosa che si dovrebbe evitare a tutti i costi. 
 
Tutti ammalati nella camerata
Alla fine Asanka non ha resistito e, di fronte al mancato salario e all’incertezza, è rientrato in Sri Lanka, con uno dei voli di rientro organizzati dal proprio governo. 
Arrivato a Colombo è stato messo in quarantena, è risultato positivo al Covid e ora sta aspettando di negativizzarsi per rivedere le sue bambine. A cui, questa volta, non potrà consegnare né soldi né regali.
Raju invece, ha deciso di restare perché il governo indiano non ha organizzato voli di rientro in tempi rapidi. Ha passato due settimane con febbre e tosse pesante, ma adesso sta meglio.
È tornato a oliare l’attrezzatura da sub, a trascinare i lettini sulla sabbia la mattina e di nuovo sotto il padiglione in fibra di cocco la sera, a dormire a nella camerata da 8 con i suoi colleghi immigrati, che a turno si sono ammalati e sono guariti.
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Anche l’estate maldiviana registra una crescita costante e quotidiana dei casi di infezione, con un trend che da inizio agosto si consolida tristemente e pone dubbi sulla strategia della riapertura totale, scattata, con fasi diverse, da metà luglio.
 
Inevitabile aumento della povertà
Ahmed ogni sera dalla palma osserva la linea dell’orizzonte. Da lì sembra che solo ottime cose possano arrivare; lui si aspetta le solite barche cariche di turisti, le solite mance e il sorriso di sua moglie e suo figlio come principale ricompensa.
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L’arcipelago, intanto, tenta di restare dignitosamente a galla, anche se gli oltre 1,7 milioni di turisti del 2019 sembrano un sogno lontano, anche se le disparità nella distribuzione della ricchezza si fanno più evidenti, anche se le stime parlano di un inevitabile aumento della povertà. E il miraggio del lavoro pubblico – mito mai scalfito nella mentalità maldiviana – è sempre più ambito.
L’Oceano, intanto, circonda l’estate del Covid. Con l’ennesima onda di risacca. 
 
Beppe Pedron