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L’India sull’altalena della paura   versione testuale
12 ottobre 2020

Su e giù, lentamente, leggermente, come un refolo di vento della pianura. Su e giù, talvolta con uno strappo improvviso, ma sempre con un andare regolare e ritmato.
Così suona, nei ricordi a occhi chiusi, l’infanzia di Pramod: l’ondeggiare delicato dell’altalena di corda e legno, appesa al ramo forte dell’albero di mango, vicino al laghetto ornato di fiori di loto dove le bufale bevono, a colpi ritmati di lingua, l’acqua nell’estate torrida.
Quel semplice ondeggiare placa ancora le giornate febbrili di Pramod, di ritorno dal ristorante nella metropoli, in quella Mumbai sogno di molti, speranza di tutti, successo per pochi. E Pramod è uno dei pochi: dopo aver lasciato il villaggio, le bufale, le case di fango, le sari sgualcite ma sempre da principessa dei campi di Seeta, la mamma, e l’altalena del nonno, passando per gli studi a Patna e Delhi, è approdato all’ex Bombay.
Anni di lavoro di ufficio e poi il ristorante, affittato un po’ in periferia, ma pur sempre di una certa classe. I piatti pensati da Neelam, la moglie conosciuta su Tinder e sposata prima in comune, all’oscuro delle famiglie, e poi, a cose fatte, con la grande festa al villaggio.
Su e giù per le scale del locale, a servire donne eleganti e mariti in giacca, su e giù il conto in banca a pagare il mutuo, i fornitori e le tasse, su e giù nelle notti di alcol e festa della metropoli, per restare nel giro e godere dei doni della benevola madre divina, Lakshmi. 
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È un saliscendi continuo anche l’indice di contagio da Sars-Cov-2 che attraversa, prima lunghissima onda tra quelle previste, il subcontinente indiano.
Dall’inizio dell’epidemia – quando ancora si diceva che i paesi dei tropici, un po’ per il clima, un po’ per resilienza di chi resiste da sempre agli urti violenti, un po’ per i vaccini anti-polio, avrebbero scansato maggiormente il pericolo – l’India ha visto una crescita costante della diffusione del virus, con conseguenti discese di speranza, infrantesi in picchi negativi sempre nuovi, a far segnare ogni volta poco lusinghieri record planetari.
Oggi i numeri assoluti fanno paura: quasi 7 milioni di contagiati, oltre 110 mila morti, incrementi giornalieri dai 60 agli 80 mila casi. 
Fanno paura anche gli ospedali pubblici, particolarmente nelle cittadine: folle di pazienti ammassati anche nei corridoi, in un girone dantesco di tossi, sputi, febbri, lamenti. 
 
L’arroganza delle classi reggenti
Pramod ha saputo che il nonno in Bihar, ormai vecchissimo ma solido come la sua altalena sull’albero, è stato portato in ospedale. Faticava a respirare dopo che la febbre l’ha tormentato per giorni. Ma la coda per un letto era lunga, i due posti in rianimazione erano occupati, e giá prenotati.
Così Pramod ha chiamato Bahaduria Sir, compagno di bevute e politico rampante, ma non sono bastate le promesse di compenso e le urla all’insegna del «Lei non sa chi sono io»: anche il potere di provincia si è arreso davanti al brulicare delle richieste, stese su un pavimento indecente dell’ospedale di Patna.
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In India ci sono cose che salgano soltanto, per ora, senza accennare a calare: non solo la curva dei contagi, ma anche la povertà e l’arroganza politica delle classi reggenti.
A causa dell’epidemia da Covid-19, il numero dei poveri sta aumentando vertiginosamente. Chi era già in condizioni disperate, si trova a scavare in profondità prima non immaginabili. Chi si poteva comunque permettere cibo, acqua, cure mediche di base e istruzione per i figli, sta lentamente ma progressivamente abbandonando questi “lussi” per prendere il posto più basso, il posto di quelli che dalla terra sono scesi ancora più giù.
Alcuni studi evidenziamo che da aprile a oggi, a causa delle restrizioni per la prevenzione dell’epidemia, almeno 19 milioni di persone hanno perso il lavoro. E l’Organizzazione internazionale per le migrazioni stima che circa 400 milioni di persone siano a rischio di cadere nella condizione di povertà estrema.
Altre analisi dimostrano come ogni minuto 120 persone in India diventino povere a causa delle spese mediche. Ciò accade, non a caso, in un paese che – nonostante abbia un sistema di assistenza sanitaria – ha una spesa pubblica tra le più basse al mondo per la sanità.
A causa di questa situazione, scendono la qualità di vita, le opportunità e la durata della vita stessa per le fasce sociali più deboli. E, ormai, anche per la classe medio-bassa. Salgono invece, sull’altalena ingiusta è che l’esistenza in talune parti del mondo, la ricchezza dei già ricchi e lo strapotere delle classi politiche.
La forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre di più, in India, e la pandemia non ha fatto altro che esacerbare il divario: imprenditori del digitale, della sanità, delle comunicazioni, o i classici imprenditori indiani mutlitasking hanno visto i propri profitti aumentare proprio grazie al virus e alle chiusure che soggiogano la popolazione.
E così, mentre nel paese aumentano i tassi di suicidio, continua a crescere anche l’arroganza dei governanti. Leader senza scrupoli, concentrati solo sulla propria immagine, su un’idea di mondo basata sulla forza militare e sull’illusoria virilità di ego deboli e per questo dannatamente pericolosi, tentano di arginare con misure contradditorie il disastro non solo sanitario ma sociale, economico e culturale che si consuma sotto i loro occhi, intenti a gestire favori di palazzo e business personali.
 
Brezza fresca, ruota beffarda
Su e giù, senza la dolcezza dell’altalena, ma con un rumore pneumatico, si muove lo stantuffo del respiratore. Cosi si muove anche la mano di Neelam sul rosario, giaculando mantra perché il buon Dio possa salvare la vita di Pramod e ridare aria ai suoi polmoni affaticati. 
La malattia lo ha preso una sera, nel letto, quando già stava svuotando l’appartamento di Mumbai per tornare in Bihar, quando i sogni del ristorante erano svaniti nelle richieste delle banche, quando – dopo mesi di tentativi – le feste luccicanti di gruppo erano solo ricordi della vita al suo picco più alto.
Sorride ora Pramod, sorride di pace sull’altalena del nonno, e si lascia cullare dall’ondivago moto delle preghiere di Neelam.
Si dissolve il suono del respiratore, che ormai non serve, e resta la brezza fresca per chi sale sempre più su, spinto sull’altalena dalla ruota beffarda della vita.
 
Beppe Pedron