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Povertà normalizzata, urgono anticorpi   versione testuale
2 novembre 2020

Gli anticorpi della solidarietà. Sono quelli che la rete Caritas ha cercato di attivare, in tutta Italia, ricalibrando i propri servizi, nei mesi succeduti al diffondersi del virus Sars-Cov-2. Per fare fronte al grave impatto socio-economico dell’epidemia. E contribuire al mantenimento della coesione sociale nelle comunità territoriali.
Gli anticorpi della solidarietà è anche il titolo del Rapporto 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia, pubblicato da Caritas Italiana lo scorso 17 ottobre, in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà. Il Rapporto cerca di scattare una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria, in uno scenario, nazionale e internazionale, alquanto preoccupante. In Europa e in Italia si registrano gravi flessioni del Pil; cala anche l’occupazione, a favore della crescita dell’inattività; i dati di Banca d’Italia confermano che nel periodo aprile-maggio quasi una famiglia su due ha registrato una diminuzione del proprio reddito (il 15% dei nuclei ha registrato una flessione di oltre la metà del reddito complessivo). Sembra profilarsi dunque il rischio di una grave recessione –secondo alcuni, la più austera dalla Grande depressione del 1929 –, che diventa terreno fertile per la nascita di nuove forme di povertà.
 
Difficoltà economiche, forme nuove di eslusione
Fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19, Caritas Italiana e le Caritas diocesane hanno cercato di rinnovare, adattandolo alle necessità contingenti, il proprio modo di stare accanto agli ultimi e alle persone in difficoltà. Per cercare di avere un quadro complessivo dell’attività svolta e tentare di descrivere l’impatto economico e sociale della pandemia, sono stati realizzati tre monitoraggi nazionali (uno ad aprile in pieno lockdown, il secondo a giugno, dopo la riapertura dei confini regionali, il terzo a settembre, dopo il periodo estivo). I dati raccolti delineano due grandi fasi finora attraversate dalla società italiana: la prima, della “dura emergenza”, coincidente con il blocco totale delle attività e con i 69 giorni nei quali gli italiani sono rimasti a casa, durante la quale si è pagato il prezzo più alto in termini di diffusione del contagio, perdita di vite umane e impatto economico; la seconda, vissuta nei mesi estivi, nella quale si è avviata una lenta ripartenza, dai contorni e confini incerti. In ciascuna delle due fasi le azioni messe in campo dalla rete Caritas sono state capillari e preziose.
Le informazioni raccolte attraverso le prime due rilevazioni (aprile e giugno) testimoniano in modo impietoso gli effetti della crisi sanitaria e dei conseguenti contraccolpi socio-economici. In tre mesi (tra marzo e maggio) la rete Caritas ha registrato un forte incremento del numero di persone sostenute a livello diocesano e parrocchiale; complessivamente, si parla di circa 450 mila individui, portavoci spesso delle istanze e delle necessità dell’intero nucleo familiare; il dato, di per sé già molto significativo, è comunque decisamente sottostimato, in quanto riferito solo a una quota di Caritas diocesane – in totale 149 – che hanno fornito questa informazione in termini complessivi.
Tra i beneficiari, molti sono “nuovi poveri”, ovvero soggetti che per la prima volta hanno sperimentato condizioni di disagio e di deprivazione economica tali da spingerli a chiedere aiuto. Tra gli assistiti nel periodo marzo-maggio prevalgono i disoccupati, le persone con impiego irregolare fermo a causa delle restrizioni imposte dal lockdown, i lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria o in deroga e i lavoratori precari o intermittenti che, al momento della presa in carico, non godevano di ammortizzatori sociali.
Sul fronte dei problemi, le Caritas diocesane hanno segnalato in primo luogo un forte incremento dei problemi di povertà economica (legati alla perdita del lavoro e al prosciugamento delle fonti di reddito) e le difficoltà connesse al mantenimento dell’abitazione (affitto o mutuo). Accanto a tali ambiti di bisogno, sono poi comparsi fenomeni nuovi, ad esempio le difficoltà di alcune famiglie rispetto alla didattica a distanza (a cominciare dall’impossibilità di accedere alla strumentazione adeguata – tablet, pc, connessioni wi-fi). Colpiscono, poi, i numerosi alert delle Caritas inerenti la dimensione psicologica: è stato rilevato un evidente aumento, durante il lockdown, del “disagio psicologico-relazionale”, di problemi connessi alla “solitudine” e di forme depressive. I territori hanno sottolineato anche un accentuarsi delle problematiche familiari, ovvero conflitti di coppia, violenze, difficoltà di accudimento di bambini piccoli o di familiari colpiti da disabilità, tensioni tra genitori e figli. Preoccupa, infine, anche il fenomeno della “rinuncia o rinvio di cure e assistenza sanitaria”, determinato dal blocco dell’assistenza specialistica ordinaria e di prevenzione, che potrebbe determinare in futuro un effetto di onda lunga sul piano del carico assistenziale e del profilo epidemiologico del paese.
A fronte di uno spettro di fenomeni tanto vasto e inedito, le Caritas hanno evidenziato una grande capacità di adattamento, mettendo in atto risposte innovative e diversificate, mai sperimentate in precedenza. Si possono citare ad esempio i servizi di ascolto e di accompagnamento telefonici, o l’ascolto organizzato all’aperto, la consegna di pasti a domicilio e la fornitura di pasti da asporto (in sostituzione o per alleggerire le tradizionali mense), la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti, la messa a disposizione di alloggi per i periodi di quarantena e isolamento, i servizi legati all’acquisto e distribuzione di farmaci e prodotti sanitari, i servizi di assistenza psicologica... Una vivacità di iniziative e opere, realizzate anche grazie alla disponibilità di oltre 62 mila volontari, a partire dai giovani del servizio civile universale, che da nord a sud del paese si sono spesi a favore dei più vulnerabili. Alcune delle azioni intraprese sono state realizzate anche in forma coordinata e sinergica con altri attori del territorio: amministrazioni locali, parrocchie, associazioni, enti non ecclesiali ed ecclesiali, Protezione civile. Tante anche le iniziative di solidarietà e le donazioni da parte di aziende, enti, negozi, supermercati, famiglie, singoli cittadini.
 
Graduale e lenta ripresa
Nel periodo estivo le Caritas diocesane hanno iniziato a intravedere segnali di miglioramento rispetto alla primavera; il dato è stato confermato dal 54% delle diocesi. È diminuito il numero degli assistiti: la media per diocesi è scesa dal 2.990 persone (periodo marzo-maggio) a circa 1.200. È calato, di conseguenza, anche il numero medio dei nuovi ascolti, scesi da 868 a 305 per diocesi. Tra coloro che hanno riconosciuto segnali di miglioramento, il 43% delle Caritas ha attribuito un ruolo anche al Reddito di emergenza, la misura del governo, introdotta al fine di supportare persone e famiglie in condizione di necessità economica e prive di ulteriori ammortizzatori sociali. Tuttavia il peso della situazione di eccezionalità in estate era percepito ancora: per il 54% delle Caritas diocesane, infatti, le richieste di aiuto in quel periodo erano ancora riconducibili all’emergenza Covid-19.
Rispetto alle forme di intervento e prestazioni erogate dalle Caritas diocesane, a settembre si è cominciata a registrare una graduale e lenta ripresa, anche se il 47% dei territori dichiarava di avere ancora alcuni servizi sospesi (tra questi mense, centri di distribuzione vestiario, dormitori, ambulatori medici).
Entrando nello specifico delle attività, la prima cosa da evidenziare è la riapertura dei centri di ascolto “in presenza”, per lo più su appuntamento o ad accesso libero; l’ascolto di prossimità è andato tuttavia in parallelo con i servizi telefonici ancora molto diffusi. Molto numerosi sono poi risultati i Fondi diocesani di solidarietà, promossi dai vescovi a supporto delle famiglie in difficoltà, in modo analogo a quanto fatto dalle diocesi subito dopo la grave crisi economica del 2008. Da sottolineare anche la preziosa attività, sul fronte dell’accompagnamento e orientamento, rispetto alle misure previste dai decreti “Cura Italia” e “Rilancio”; sono state azioni molto utili, che hanno permesso a numerose persone e famiglie in difficoltà di accedere a sostegni pubblici (l’83% delle diocesi ha svolto questa attività). C’è infine il tema del lavoro, in particolare quello della sofferenza sperimentata da tanti piccoli commercianti e lavoratori autonomi: rispetto a questo fronte, le Caritas diocesane si sono attivate con sostegni economici specifici, anche attraverso fondi diocesani dedicati, utili a far fronte alle spese più urgenti (affitto degli immobili, rate dei mutui, utenze, acquisti utili alla ripartenza dell’attività, ecc.). Complessivamente, sono stati 2.073 i piccoli commercianti e lavoratori autonomi sostenuti durante la fase di ripresa.
 
Poveri assoluti, numero più che doppio
Viene, a questo punto, da interrogarsi sul futuro. Quali contorni assumerà il fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale nei prossimi mesi, durante i quali dovremo ancora convivere con il virus Covid-19 e con rilevanti restrizioni della vita pubblica e delle relazioni sociali ed economiche? È difficile fare previsioni, dato che la pandemia non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti dal punto di vista socio-economico e date le innumerevoli incognite che permangono – e anzi si aggravano – sul versante sanitario.
Sul fronte sociale, tuttavia, i dati dei centri di ascolto Caritas, se letti in modo diacronico, iniziano a tratteggiare segnali di tendenza sul mutamento della povertà in questo tempo emergenziale. Se si confrontano le informazioni raccolte presso i centri d’ascolto nel periodo 15 maggio – 15 settembre con quelle registrate dagli stessi centri e nello stesso intervallo temporale del 2019, si notano importanti differenze che, se confermate nel tempo, possono tracciare la direzione verso la quale ci stiamo muovendo. In primo luogo si registra un incremento del 12,7% del numero di persone seguite nel 2020 rispetto all’anno precedente. Quindi nonostante il miglioramento registrato nei mesi estivi (rispetto a quelli più duri dell’emergenza), i centri di ascolto testimoniano un sensibile aumento della povertà rispetto ai tempi pre-Covid. L’incremento è peraltro sicuramente sottostimato, se si pensa alle difficoltà sperimentate nei mesi appena trascorsi riguardo alla registrazione e all’aggiornamento delle schede.
Inoltre, dopo diversi anni nei quali gli studi Caritas documentavano una povertà sempre più cronica, multidimensionale, legata a vissuti complessi, che richiedevano percorsi di accompagnamento anche molto lunghi, i dati di cui disponiamo oggi fotografano una situazione nella quale i “nuovi poveri” rappresentano quasi la metà (il 45%) degli assistiti. Rispetto ai profili socio-anagrafici, i dati dei Cda testimoniano un incremento dell’incidenza delle donne, più fragili e svantaggiate sul piano occupazionale e spesso portavoci dei bisogni dell’intero nucleo familiare. Aumenta in modo molto evidente anche il peso della componente degli italiani, e cresce anche l’incidenza dei giovani tra i 18 e i 34 anni, anch’essi molto deboli sul “fronte lavoro”. Si registra poi, tra coloro che si sono rivolti a un centro d’ascolto, un innalzamento della quota di coniugati, delle famiglie con figli e delle famiglie con minori.
Si intravede dunque l’ipotesi di una nuova fase di “normalizzazione” della povertà, che si innesta tuttavia su un fenomeno già di per sé “normalizzato”, a seguito dello shock economico del 2008. A fare la differenza, tuttavia, rispetto a 12 anni fa, è il punto dal quale partiamo: nell’Italia del pre-pandemia (2019) il numero di poveri assoluti è più che doppio rispetto al 2007, alla vigilia del crollo Lehman Brothers. E non è certo, guardando al duro inverno che ci aspetta, una constatazione tranquillizzante…
 
Federica De Lauso