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Bisogni in aumento, donazioni in calo   versione testuale
12 novembre 2020

Lucia Foglino è la responsabile dell'Osservatorio delle Povertà della Caritas diocesana di Genova. La situazione nella diocesi ligure, nel vivo della seconda ondata di emergenza sanitaria, non dsolo la vive da cittadina, ma la “misura” da sociologa. «I volontari – spiega Foglino –, che sono la nostra forza, elementi centrali all’interno dei servizi, oggi sono di nuovo a casa. Non si tratta tanto di positivi (qualcuno c’è), quanto piuttosto di persone che devono proteggere, a casa, altre persone: immunodepresse, anziani cardiopatici, malati... Oppure ci sono quelli che hanno congiunti in quarantena e dunque sono impossibilitati a muoversi. Per ora in numero contenuto, ma temiamo per le prossime settimane».
Sono 250 i volontari dedicati ai 34 centri di ascolto della diocesi (26 solo a Genova città). E sinora, nel 2020, sono state circa 2.500 le persone che hanno chiesto aiuto agli uffici di Caritas o ai centri d’ascolto. La maggior parte non era mai venuta in contatto, in precedenza, con enti di solidarietà. Anche per loro, i centri d’ascolto si rivelano recettori fondamentali per intercettare bisogni di vicinanza emotiva e psicologica. Oltre che, naturalmente, i bisogni materiali, sovente primari: da quando è cominciata l’emergenza, per esempio, sono stati erogati oltre 70 mila euro solo di buoni spesa.
 
Tutto sommato avevano retto
La vicinanza umana è comunque l’elemento centrale. A parte i bisogni alimentari, va registrata una fragilità diffusa, che assottiglia il confine fra la depressione e problemi psichici più importanti. «Ci sono sempre più persone che hanno problemi di disagio psicologico o psichico legato alla pandemia – avverte Foglino –. Sono gli stessi che al primo lockdown avevano sofferto e manifestato un certo disagio a stare chiusi, nell’incertezza, nell’ignoto, senza chiarezza sul futuro. Ma tutto sommato avevano retto, forse perché si intravedeva un orizzonte di fine emergenza».
Nella seconda fase, invece, quelle problematiche stanno venendo prepotentemente a galla. «Noi – dice ancora Lucia Foglino – temiamo di ritrovare quelle stesse persone (e non solo) segnate da un disagio psichico importante. Sono sempre di più quelli che telefonano per questo motivo: le sentiamo confuse, irritabili, instabili, hanno bisogno di parlare e magari si sono rivolte già a diversi servizi territoriali. Non è facile a distanza seguire l’evolversi del disagio psichico. Noi cerchiamo di parlare, ascoltare, segnalare ai servizi sociali del comune i casi più complessi. Ma l’allarme resterà alto, senza interventi di lungo respiro».
Il secondo problema più rilevato ha invece natura economica, e dipende dalla mancata erogazione della cassa integrazione o dal fortissimo ritardo con cui è stata percepita. Molto frequente è anche la situazione di coloro che lavoravano in nero o arrotondavano il reddito di cittadinanza, o un reddito troppo basso, con lavori in nero. Meno numerosi al momento i commercianti, in parte perché economicamente meno fragili, in parte perché le misure governative adottate sono state efficaci».
 
Si domandano se toccherà a loro
I bisogni, insomma, si moltiplicano. E le capacità di risposta? Nella seconda fase accade che le risorse economiche stiano venendo a mancare. «In termini di aiuto alimentare e di liquidità, di cui molte persone hanno forte bisogno, registriamo richieste di sostegno in ascesa, mentre noi purtroppo abbiamo un trend calante di donazioni. Non arrivano, o arrivano con il contagocce. In occasione del primo lockdown le persone avevano reagito e le donazioni c’erano. Adesso credo che ci siano due fattori che provocano questa interruzione. Anzitutto, la tragedia ora è meno visibile. Non è come una guerra, un terremoto, o uno di quegli eventi luttuosi le cui conseguenze sono visibili subito e sempre. Né ci sono, al momento, situazioni e contingenze tragiche, come durante il primo lockdown. Per fortuna non ci sono le bare accatastate, gli ospedali con le persone che muoiono soli. Le vittime sono sempre di più, certo, ma il dramma sociale diffuso del momento riguarda soprattutto persone che perdono il lavoro, che non riescono a pagare l’affitto. Costoro non fanno rumore, nessuno li sente. E poi c’è un altro fattore: oggi anche coloro che avevano donato la prima volta si chiedono se domani toccherà a loro, registrare una difficoltà economica. C’è una paura generalizzata dell’ignoto, ci sono diffusi timori per l’occupazione e il benessere, e questo fa contrarre le donazioni».

Tobia e gli ultimissimi
In questo contesto, diversi sono i progetti che la Caritas diocesana di Genova sta comunque portando avanti, o addirittura avviando. «Anzitutto proseguiamo il progetto Tobia, che sinora ci ha permesso di sostenere economicamente 185 famiglie (oltre 500 persone, per un ammontare complessivo di 173.656,46 euro impiegati): 42 di esse erano già conosciute dai centri d’ascolto, le altre sono state incontrate in conseguenza della pandemia. Per oltre l’80% di questi nuclei il sostegno è servito per il pagamento di utenze e affitto, nel 14% dei casi per il pagamento di tasse a lavoratori autonomi e per il restante 6% si sono coperte spese mediche o scolastiche. Il 20% delle famiglie non aveva ancora ricevuto la cassa integrazione, il 16% arrotondava una pensione o il reddito di cittadinanza con piccoli lavori in nero, il 25% campava esclusivamente di lavoro nero, nel 6% dei casi la difficoltà è stata causata dalla morte, a volte per Covid, dell’anziano assistito o dell’unico percettore di reddito della famiglia. Sono esigenze diverse, ma che si moltiplicano, lasciandoci sgomenti».
E poi ci sono gli ultimissimi. Caritas Genova ora sta pensando al piano freddo per chi vive in strada. «Dobbiamo ragionare in modo diverso da prima, perché in strutture dove entravano 20 persone adesso ne possiamo far stare 10. Stiamo cercando nuovi locali adatti allo scopo. Qualcosa abbiamo e stiamo convertendo, ma non basta. E poi cerchiamo coperte ma, soprattutto, volontari. Aiutateci, lo diciamo soprattutto ai giovani. Per la distribuzione del cibo e delle coperte, per una vicinanza di conforto a chi non ha davvero niente. Abbiamo bisogno di tutti, per superare il lungo inverno del Covid».

Daniela Palumbo