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La curva dei poveri, unica a non flettere   versione testuale
16 novembre 2020

Elisa, 49 anni, è tornata a fare la spesa all’Emporio della Caritas di Garbagnate (Milano). Dopo la fine del lockdown, le signore della piccola cittadina dell’hinterland milanese l’avevano richiamata in servizio. Piccoli lavori domestici, dalle pulizie delle casa alle camicie da stirare, tutti in nero, ma che le consentivano di stare a galla. Poi è arrivato il nuovo lockdown e delle sue tre clienti ne è rimasta una. «Prendo 100 euro al mese, 200 me li passa il mio ex marito per il mantenimento di nostro figlio. Ma anche se posso fare la spesa gratis grazie alla Caritas, non riesco più a pagare l’affitto (400 euro al mese) e la mensa del bambino – scuote la testa –. Ho fatto domanda per il reddito di cittadinanza, ma sto ancora aspettando un risposta. Nel frattempo accumulo debiti su debiti. Sono sempre più arrabbiata. E non so più con chi prendermela. Bisogna fermare il contagio, d’accordo, ma io così non ce la faccio».
Dopo l’impennata di contagi, la Lombardia è stata dichiarata zona rossa. La locomotiva d’Italia ha dovuto rallentare di nuovo i motori. E anche se per il momento non ha ancora staccato la spina, la frenata è stata un ulteriore duro contraccolpo per gli ultimi della fila.
 
Dario è tornato a terra
All’Emporio della Barona, periferia sud di Miano, aspetta il suo turno Dario, 53 anni. «Dopo un lungo periodo di disoccupazione, finalmente nel 2019 ero stato assunto da una cooperativa che si occupa della pulizia a bordo degli aerei. In primavera si era tutto fermato, ma in estate c’era stata una timida ripresa. Ora di nuovo i voli sono stati drasticamente tagliati e sono stato messo ancora una volta in cassa interazione. Prendo 480 euro al mese. Vuol dire decidere se fare la spesa o pagare l’affitto», racconta.
Secondo il Rapporto diocesano sulle povertà, presentato a inizio novembre, la precedente chiusura ha creato nella diocesi di Milano 9 mila impoveriti: persone che non si erano mai rivolte prima ai servizi Caritas o che, pur essendo già nelle rete di assistenza, hanno visto peggiorare di molto la loro condizione. A pagare il prezzo più alto sono stati colf e badanti, lavapiatti, camerieri, addetti alle pulizie nei grandi alberghi: tutti lavoratori, alcuni in nero, altri con contratti precari, nei settori più pesantemente colpiti dalla prima quarantena. Gli stessi comparti economici che si sono dovuti fermare anche ora. Quanto forte sarà il contraccolpo per i lavoratori più fragili?
«Difficile fare previsioni – osserva il direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti –. Benché il governo abbia promesso ristori immediati e abbia rifinanziato gli ammortizzatori sociali, prevediamo una nuova ondata di richieste che si aggiungerà a quella nata nei mesi precedenti, dopo la quale non si è mai tornati alla normalità».
Già, perché tra le tante curve che si analizzano in questi mesi, ce n’è una che passa sotto traccia: quella del disagio sociale. Una linea, quest’ultima, che si alza in coincidenza con le limitazioni imposte per rallentare la diffusione del virus. E che per molto tempo non flette, anche se nel frattempo le misure vengono tolte o alleggerite. Come mostra l’osservazione degli operatori e dei volontari della Caritas impegnati sulle diverse faglie del terremoto sociale che il Covid ha prodotto.
 
Maddalena guarda la tangenziale
Case bianche di via Salomone 52. Quando il Papa venne a Milano, nel 2016, iniziò da queste caseggiato di periferia la visita alla città. Al 5° piano, Maddalena è seduta davanti alla finestra. Attraverso i vetri guarda giù i radi passanti che girano per le strade. Quando si stanca, afferra il deambulatore, attraversa il salotto e va in cucina: da lì lo sguardo può spaziare fino alla tangenziale. Il cambio di prospettiva non è molto allettante, ma le basta per distrarsi un po’.
Da quando lo Spazio Anziani, gestito dalle parrocchie e dal comune, ha dovuto abbassare di nuovo la saracinesca, è così che passa le sue giornate da anziana 73enne di periferia. I volontari fanno quello che possono per alleviarle il peso di giorni tutti uguali. Stefano Bosi, coordinatore del servizio, le bussa alla porta tutte le mattine, per ritirare la cartellina colorata che le ha consegnato il giorno prima. Dentro ci sono un cruciverba, giochi mnemonici, filastrocche, un notiziario auto-prodotto che riassume in termini semplici i fatti principali della settimana e l’elenco di tutti i numeri di telefono degli anziani che aderiscono all’associazione. «Sono esercizi che abbiamo messo a punto con medici geriatri – spiega –. Erano stati il modo con cui già questa primavera avevamo cercato di stimolare i nostri anziani, non potendo più accoglierli nei laboratori che organizzavamo al centro. In quei mesi avevano funzionato. Speriamo che funzionino anche ora».
Gli anziani sono una delle preoccupazioni di Gualzetti. «È noto che sono stati purtroppo loro le vittime principali della malattia nella prima ondata di contagi. Ma non si è riflettuto abbastanza sulle ricadute che il lungo e forzato isolamento ha avuto sulla vita anche di chi non si è ammalto – ragiona il direttore –. Già alla fine del primo lockdown molti sono rimasti in un isolamento autoimposto perché terrorizzati. Chi aveva recuperato un po’ di fiducia ora è di nuovo ripiombato nell’angoscia e avrà bisogno di tempo per curare le ferite interne che il lungo e protratto distanziamento sociale ha prodotto».
 
Il divario digitale si approfondisce
Tra le tante categorie che hanno sofferto le conseguenze del nuovo lockdown c’è anche quella degli alunni e degli studenti. A destare preoccupazione sono quelli più deboli, che frequentano i 302 doposcuola parrocchiali presenti nella diocesi. Un’indagine condotta a fine maggio, all’uscita dal primo stop, aveva messo in luce che un minore su due non era riuscito a seguire le lezioni a distanza. Chi non aveva un pc, una connessione efficiente, un genitore disponibile, luoghi adeguati, è rimasto indietro.
«È un dramma perché le condizioni non sono affatto cambiate in questi mesi e probabilmente per ancora molto tempo non si potrà tornare in classe», conclude Gualzetti. La Caritas nel frattempo ha lanciato Nessuno resti indietro, una campagna di raccolta fondi contro il digital divide: una povertà forse meno tangibile, ma non meno insidiosa. 
 
Francesco Chiavarini