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Mille panari, e la camorra da battere   versione testuale
18 dicembre 2020

Natale di nuovo in zona rossa. Dopo un autunno difficile, che ha rischiato di compromettere il già delicato equilibrio che si tentava di mantenere dopo il primo lockdown, a Napoli la situazione socio-economica è alquanto delicata. E il periodo delle feste non farà che ribadirlo: le chiusure e le limitazioni imposte ai comparti della vendita al dettaglio, della ristorazione e del turismo, che hanno un’incidenza particolarmente rilevante nell’economia locale, hanno messo in seria, ulteriore difficoltà migliaia di persone e di nuclei famigliari, molti dei quali già vivevano in condizioni di precarietà. 
Così, aumentano le richieste di aiuto. E la Caritas diocesana è in prima fila. «Le modalità del nostro intervento, basate sul lavoro da remoto – spiega don Enzo Cozzolino, direttore dell’organismo diocesano – sono analoghe a quelle del primo lockdown. È cambiato però lo scenario di riferimento. Il numero di operatori che agiva a marzo era molto ridotto; oggi abbiamo ripartito meglio gli interventi, con un centralino diocesano unico in entrata, e i volontari che richiamano chi ha chiesto aiuto un momento differito. Così non siamo obbligati a dare risposte immediate e frettolose. Sono gestiti da remoto anche gli aiuti economici, che vengono assicurati tramite bonifici bancari, anche attraverso la preziosa e insostituibile collaborazione dei parroci, che fungono da intermediari».
L’intervento Caritas si dispiega anche attraverso i servizi territoriali. «In diocesi sono operative 21 mense – prosegue don Cozzolino –, e come a marzo molte parrocchie si sono organizzate in proprio per la consegna di pacchi alimentari, anche stipulando convenzioni per le collette fuori dai supermercati. Il sistema funziona meglio rispetto al periodo di primavera, anche perché c’è maggiore possibilità di spostamento: operatori e ospiti raggiungono con maggiore facilità le mense e i centri Caritas aperti».
 
Precariato e lavoro nero, primi nemici
In città e nell’hinterland, tuttavia, la situazione era e resta molto difficile. «Napoli è una realtà che vive soprattutto di turismo, e del commercio che al turismo è strettamente connesso; pizzerie, ristoranti, bar e negozi sono sovradimensionati rispetto al bisogno dei soli abitanti di Napoli, e vanno in crisi se manca la linfa indispensabile dei turisti. Il governo ha distribuito i ristori ad alcune categorie, ma questo intervento andrebbe integrato con uno più ampio, per un numero maggiore di categorie di lavoratori, e più consistente. Per molti pagare le bollette delle utenze, i mutui o i prestiti, e magari i prestiti da usura, diventa insostenibile, se l’esercizio commerciale resta chiuso. C’è un’ampia fascia di popolazione che rischia l’esclusione sociale e, di fatto, una grave emarginazione. Misure restrittive sono necessarie e ineludibili per contrastare la recrudescenza del virus; tuttavia, serve una riflessione più ampia sulle misure assunte nei confronti di quanti si trovano in una condizione di estrema difficoltà sociale ed economica, di quanti vivono ai margini, dei nuovi poveri che questa pandemia sta contribuendo a generare».
Insomma, anche a Napoli, e in particolare a Napoli, sta mutando la mappa del disagio socio–economico: le fragilità già note sono divenute più complesse, ed accanto a esse emergono nuove tipologie di povertà ed esclusione sociale, determinate dal calo delle forme di lavoro non tipizzate, dalla drastica contrazione dei consumi, persino dall’acuirsi del disagio psichico dovuto all’isolamento forzato. «È indispensabile ragionare in prospettiva, oltre la pandemia – si accalora don Cozzolino –, per mettere al centro della politica misure contro il precariato e il lavoro nero. Serve un piano nazionale per rilanciare il mercato del lavoro e, al contempo, allinearci ai paesi europei con la misura universale del sostegno al reddito, senza tralasciare il mantenimento ed il consolidamento dei servizi di base e sociosanitari».
 
Le mire dei soliti ignoti
Scuola e lavoro, a Napoli, sono le due vie principali per cercare di spezzare l'egemonia della camorra. Che di certo, come già successo durante il primo lockdown, si sta dando da fare per “aiutare” a modo suo le persone in difficoltà, e per progettare come raccogliere i frutti della crisi, rilevando o infiltrando attività economiche. «In questo momento, come evidenziano alcuni dati e indicatori statistici – ragiona il direttore Caritas – i ricchi-ricchi sono diventati ancora più ricchi, e la classe media arretra. Oggi le attività economiche e commerciali sono ferme, ma chi le acquista o le riscatta a poco prezzo, vista la fame dei proprietari, si augura che alla fine della pandemia tornino a fruttare come e più di prima. E chi può acquistare in tempo di crisi e di stagnazione economica? I soliti ignoti o, meglio, i soliti noti. Per affrontare questo problema non basta pagare una bolletta o indirizzare verso una mensa: è indispensabile un approccio bancario e mutualistico al problema. Si tratta di sviluppare strutture che ancora non esistono, se non in embrione: affrontare i problemi della persona in difficoltà, sotto usura, liquidare il debito e programmare, insieme, un rientro, facendo leva sulla riapertura dell’esercizio commerciale e quindi su un futuro guadagno. Ma lì dove la banca non vuol rischiare, bisogna trovare le forze di tutti gli attori di buona volontà, compresa la Chiesa».
Napoli, città di grandi contrasti, impegna il genio della sua gente anche sul fronte della carità. «La generosità tra poveri è la cosa più bella che si possa vedere – conferma don Cozzolino –. La Chiesa in genere e la Caritas in particolare possono aiutare a incrementare queste pratiche virtuose. Il senso caritativo del popolo è più forte del nostro aiutino. Soprattutto è più umano, più genuino, più cristiano. Nei quartieri dove maggiore è il bisogno sarebbe bello dare, a tutti i livelli, un’iniezione di fiducia, incoraggiando, sostenendo e facendoci prossimi. In punta di piedi le associazioni e la Chiesa napoletana – dai parroci alla Caritas – cercano di farlo, sostenendo, accompagnando e servendo. Sono decine ora, nel centro antico di Napoli, i “panari” solidali, ovvero i cesti che scendono dalle finestre, punti di scambio tra chi può dare e chi ha bisogno di prendere: sono divenuti una vera e propria rete di distribuzione di generi di prima necessità per i più bisognosi. Il virus della solidarietà si diffonde in città, e Napul'è mille panar, prendendo in prestito le celeberrime parole di Pino Daniele…

Più sociali, meno social
Molti sostengono che questa stagione terribile si rivelerà anche una grande opportunità. «Ci permette di capire l’importanza di quel rapporto umano a cui non davamo più valore – assente don Cozzolino –. A Napoli sto vedendo molti segni di umanità. È come se madre natura avesse voluto farci riflettere su cosa eravamo diventati, sul narcisismo sempre più becero che si era impossessato di noi e ci aveva fatto perdere il valore dello stare insieme. Nei mesi passati, abbiamo scoperto di avere risorse che non conoscevamo e che ci hanno permesso di affrontare una sfida che ora si è ripresentata. Abbiamo imparato a creare comunità di sostegno, condiviso esperienze, aiuti e risorse, riscoperto le attività commerciali di quartiere, stretto legami di condominio che erano sempre stati lì e non notavamo più. Abbiamo compreso che nelle difficoltà possono nascere legami inaspettati, che anche isolati non siamo soli, che la prima forma di cura è prenderci cura gli uni degli altri e che possiamo stare accanto, nella distanza».
Ora si tratta di non sprecare i sacrifici fatti e le cose imparate. «Non lasciamoci dividere dalla rabbia, né scoraggiare dall’incertezza – conclude il direttore di Caritas Napoli –. La prima cosa da fare sarà uscire di casa e chiedere al vicino se sta bene, se ha bisogno di qualcosa. Tornare finalmente a essere più sociali e meno social. L’Italia è forte, abbiamo medici e volontari straordinari. Dobbiamo affidarci a loro e rivalutare, in tutti i campi, la competenza. Altrimenti non c’è futuro».
 
Ettore Sutti