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Cinque tifoni e una pandemia   versione testuale
31 dicembre 2020

Erano molti anni che 5 eventi naturali catastrofici, tra tifoni e depressioni tropicali, non arrivavano nelle Filippine uno dietro l’altro. È accaduto in questo terribile 2020, nel giro di soli 22 giorni, con una sequenza che ha colpito la zona meridionale di Luzon, che comprende la capitale Manila. Il 2020, perciò, da quelle parti, oltre che per la pandemia di Covid19, sarà ricordato anche per queste emergenze naturali.
Il tifone Molave è arrivato poco prima della fine di ottobre (il 23), lasciando il posto, tra il 29 dello stesso mese fino al 3 novembre, al supertifone Goni (o Rolly, come è stato nominato nelle Filippine) di categoria 5, che è risultato il secondo tifone più forte che abbia mai colpito le Filippine dal 2013, anno del passaggio di Hayian, supertifone che aveva lasciato una scia di più di 6 mila morti. Goni ha obbligato all’evacuazione 350 mila persone, interessando nel complesso 4,8 milioni di cittadini. Poco dopo si son fatte strada Siony e Tonio, due tempeste tropicali, che hanno provocato varie alluvioni e smottamenti. E alla fine è arrivato il tifone Vamco (Ulysses per i filippini) che, pur non violento quanto Goni, tra l’8 e il 13 novembre ha avuto grande impatto, coinvolgendo 4 milioni di persone a Luzon, e uccidendone più di 70.
«Sono cresciuto nel Mindanao e di tifoni ce n’erano pochi quando ero piccolo, e in periodi circoscritti – racconta padre Tony Labiao, segretario generale di Caritas Filippine –. Adesso, non solo arrivano in tutti i periodi dell’anno, ma sono sempre più frequenti e potenti, e colpiscono violentemente». Negli ultimi 15 anni si è infatti registrato un preoccupante aumento dei supertifoni, quelli i cui venti superano i 200 chilometri all’ora. Il motivo è che l’oceano Pacifico si sta scaldando a una velocità che è la più alta degli ultimi 10 mila anni, aumentando la riserva di energia da cui i tifoni traggono forza: le Filippine sono il paese ove tutti quei tifoni (ormai sono almeno una ventina ogni anno) vanno a finire.
 
Senza virus, avrebbero aiutato
In Italia si è parlato di questa sequenza di tifoni sui giornali e sui social per qualche giorno. I danni, anche se ormai non se ne scrive più, sono però ancora visibili sul campo. Caritas Filippine, sin dai primi giorni, è stata presente, inviando la task force per l’emergenza, che ha immediatamente aiutato, in coordinamento con le diocesi locali e con moltissime altre organizzazioni della società civile, a raccogliere dati e informazioni a partire dai quali si sono costruiti i progetti di intervento. Caritas Italiana contribuisce all’Appello di emergenza di Caritas Internationalis, che sta portando aiuti a chi è ancora sfollato, costruendo alloggi temporanei e distribuendo sostegni economici per rimettere in piedi le attività economiche distrutte.
Tutto il resto delle Filippine sta aiutando e inviando aiuti, accogliendo la richiesta fatta anche dalla Conferenza episcopale nazionale. Senza la pandemia, avremmo visto moltissimi volontari partire in aiuto, così come era successo nel 2013 dopo il devastante passaggio di Hayian. È ancora vivo il ricordo di quella tragedia nella zona delle Visayas. In molti, dalle isole di Capiz, Cebu, Samar e Leyte, avrebbero voluto ricambiare tutti gli aiuti ricevuti in quegli anni: le restrizioni agli spostamenti a causa del Covid 19, tuttavia, non lo hanno permesso.
Le varie province filippine attualmente hanno differenti protocolli, vigenti a seconda dell’impatto del Covid nelle diverse aree, ma nella maggioranza dei casi occorre fare test rapidi o antigenici per potersi muovere e si richiedono, comunque, 14 giorni di quarantena all’arrivo, anche per viaggi nel paese e non solo con provenienza dall’estero. Per questo motivo molte tratte di pullman e anche jeepneys (il caratteristico pullman simile a una jeep allungata) sono sospese e i tricycle (sidecar tipici per il trasporto di persone) accettano un massimo di 1 o 2 passeggeri. I viaggi aerei sono ammessi, ma il sistema aeroportuale di Manila accetta solamente 5-10 mila passeggeri al giorno: dopo aver raggiunto quel numero, i voli sono cancellati.
Chi deve viaggiare, perciò, affitta macchine private, con costi molto alti. «Le restrizioni al movimento rendono la vita difficile, soprattutto ai molti impiegati che gravitano sulla megalopoli Manila – spiega Jing Anderson, responsabile della comunicazione di Caritas Filippine –. Possono andare a lavorare, ma le spese di spostamento erodono tutto o in parte il loro stipendio giornaliero. E coloro che stavano male già prima oggi diventano ancora più poveri, perché sono senza lavoro, mentre i prezzi di tutto salgono. La sicurezza alimentare e la difficoltà delle famiglie a procurarsi cibo stanno diventando un problema in tutto il paese: gli agricoltori, ormai, non hanno più capitale per iniziare la prossima stagione agricola. Certo, ci sono aiuti governativi e assicurazioni a vari livelli, ma non bastano per coprire gli immensi bisogni. Gli ultimi tifoni sono stati un colpo fortissimo per milioni di famiglie».
Nelle campagne, peraltro, si trovano soluzioni più facilmente: «Chi vive nelle grandi città deve comprarsi tutto quello che serve da mangiare; chi è in campagna, invece, subisce un impatto minore, anche perché si è abituati a una vita più semplice. Qui ad Antique, sull’isola di Panay – racconta padre Edione Febrero, direttore della Caritas locale –, molti studenti hanno ricevuto aiuti per sé e per le famiglie da parte del governo, la cui efficienza è, comunque, sempre un punto di domanda. Le Filippine sono composte da più di 7 mila isole: quello che si fa a Manila, non può essere applicato nello stesso modo ad Antique o in altre zone. Per cui è possibile essere efficienti da qualche parte, ma non dappertutto, dati i vari contesti».
 
Approccio militare all’apidemia
Nella seconda metà di dicembre, circa 470 mila filippini sono stati infettati dal Covid 19, e poco più di 9 mila sono morti, con una curva dei casi in lenta risalita. Le Filippine sono il secondo paese, nel sud-est asiatico, dopo l’Indonesia, per numero di casi e decessi. Questi numeri sono ben lontani da quelli di molti altri paesi e da quelli italiani, ma risultano elevati nel contesto asiatico.
L’impatto del Covid 19 continua inoltre a essere elevato sulla vita quotidiana delle persone. Molti uffici e centri di affari non sono completamente funzionanti, i centri commerciali sono ancora in gran parte chiusi. Il coprifuoco notturno, dalle 10 di sera alle 4 del mattino, è attivo in molte province. Le chiese possono usare solo il 30% della loro capacità, e ciò ha limitato fortemente la grande partecipazione alle tradizionali e molto sentite messe del mattino (Misa de Gallo) durante la novena di Natale. La gente, in ogni caso, se non obbligata per lavoro, si muove poco per paura del contagio e usa abbastanza le mascherine e le visiere, anche se – inevitabilmente – con minor intensità là dove i tifoni hanno colpito duramente nelle ultime settimane.
L’impegno di Caritas in tutto il paese rispetto alle conseguenze del Covid19 è ampio: durante il lockdown duro di primavera, molte Caritas locali hanno portato aiuti diretti agli autisti dei tricycle che non avevano più clienti e agli indigeni senza lavoro; sono stati distribuiti semi e ortaggi da piantare negli orti dietro casa; nelle città si sono aperti negozi solidali per vendere a basso prezzo generi di prima necessità; mascherine sono state distribuite a chi non poteva comprarle. E in occasione di tutti gli interventi è stata fatta formazione sul Covid19, rispettando tutte le norme.
Ora si parla molto, come in tutto il mondo, dei vaccini e di chi li dovrebbe fare per primo, ma il governo filippino non sembra pronto ad avere subito le dosi necessarie, nonostante nel budget annuale nazionale per il 2021 ci siano risorse consistenti a questo fine: «Il presidente Duterte sembra sia concentrato a lavorare per combattere il Covid 19 – chiosa padre Edione da Antique –, ma dato che molti dei suoi consiglieri sono ex militari, l’approccio usato e le soluzioni offerte hanno una prospettiva limitata: in realtà medici e scienziati non sono seriamente coinvolti nel risolvere i problemi di salute pubblica».
 
Dilaga la mentalità violenta
Giudicando dai titoli dei giornali locali, Rodrigo Duterte è molto concentrato sulle elezioni presidenziali e politiche del 2021, alle quali, comunque, non potrà partecipare, in quanto la Costituzione filippina non prevede la possibilità di presentarsi alle elezioni per un secondo mandato. Il presidente prosegue con la delegittimazione di quelli che sono contro di lui, come d’abitudine da quando 6 anni fa è stato eletto con grande trasporto dai filippini, tra i quali, in ogni caso, pur a livelli inferiori rispetto al passato, continua a essere molto popolare. Le uccisioni extragiudiziarie, connesse alla guerra alla droga che Duterte conduce dall’inizio del suo mandato, hanno fatto notizia in tutto il mondo, squarciando il velo sulla scarsa considerazione dei diritti umani da parte della sua amministrazione. «Ma i media non parlano molto di diritti umani in questo tempo di pandemia – osservano esponenti Caritas –. L’abuso di droga rimane un problema, ma con le restrizioni da Covid19 il controllo sembra più facile. Però il tema dei diritti umani resta scottante; sta a noi continuare a raccontare la realtà dei fatti». E la realtà è tutt’altro che incoraggiante: a dicembre, la Corte penale internazionale dell’Aia, come riportato da varie fonti giornalistiche internazionali, ha sostenuto che ci sono «basi ragionevoli per credere che Duterte abbia commesso crimini contro l’umanità durante la guerra alla droga, permettendo alla polizia di commettere questi atti senza giusti processi».
La stima del governo sulle vittime nella lotta alla droga raggiunge circa 8 mila morti, ma organizzazioni filippine dichiarano che le cifre reali siano 3 volte maggiori. Anche perché i metodi sbrigativi autorizzati da Duterte tendono a dilagare. È di queste settimane il caso dell’uccisione di una madre e di suo figlio da parte di un poliziotto non in servizio a causa di una lite, legata – pare – allo scoppio di un grosso petardo che ha creato scompiglio tra 2 famiglie, già in lite per un terreno, e che ha surriscaldato gli animi. Il poliziotto ora è in prigione, ma il video della vicenda è diventato virale. Alcuni sacerdoti di quell’area sottolineano come l’episodio di violenza sia stato «brutale e senza senso» e che l’incidente sia «il risultato di un clima di impunità causato dalla demonizzazione, da parte del governo, di chiunque si metta contro di esso».
 
Caritas, oltre l’emergenza
Caritas Filippine da sempre conduce campagne a difesa dei diritti umani, che negli ultimi anni si sono saldate alla difesa del diritto a un ambiente sano e conservato per le future generazioni. «Stiamo lavorando molto, anche durante il periodo natalizio, con le Caritas diocesane locali, per aiutare il più possibile a portare pacchi cibo, lampade solari, materassi, acqua potabile, kit igienici, a costruire case nuove e a preparare le comunità per le prossime emergenze – riepiloga padre Tony Labiao di Caritas Filippine, riprendendo il tema dell’intervento umanitario in atto dopo i 5 tifoni di ottobre-novembre 2020 –. Ma il nostro obiettivo è andare oltre la risposta emergenziale. Tutto quanto è successo, sia il Covid sia l’accelerazione dei tifoni, è legato alla crisi climatica che dobbiamo combattere, se vogliamo salvare vite umane».
Prevenire il surriscaldamento globale, nelle Filippine, significa fermare l’innalzamento del livello del mare, che ha un impatto non visibile e non misurabile nell’immediato, ma è la prima minaccia futura per il paese: più di 15 milioni di filippini vivono infatti in zone critiche. Significa anche fermare lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e minerarie, la deforestazione illegale, le pratiche agricole insostenibili nel lungo periodo. «È necessario che la voce di Caritas si senta più forte, per fare in modo che la gente capisca come tante azioni quotidiane impattino sull’ambiente e sui poveri, aumentandone il numero. Ma questo lavoro non possiamo farlo da soli: noi siamo in prima fila a subire i danni, ma il processo di riscaldamento globale non è certo solo colpa nostra – continua padre Tony –. Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità globale. Solamente lavorando insieme, potremo assicurare un mondo migliore alle generazioni future ». Serve, insomma, un approccio comunitario: insieme si soffre e insieme si agisce. E insieme ci si rimette in piedi dopo aver perso tutto. È la resilienza, che vale quando c’è un tifone, ma anche quando si tratta di difendere il pianeta, o combattere un’epidemia.
 
Matteo Amigoni