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Il Caritas bus va alla montagna   versione testuale
11 febbraio 2021

Una sessantina di parrocchie. Dal piano ai monti. Dalla periferia metropolitana ai valichi alpini. Un territorio dai tratti geografici, demografici, sociali (e di conseguenza pastorali) eterogenei. Nel quale le proposte ecclesiali non mancano. Ma alcuni ambiti vanno presidiati meglio. Stando attenti, però, alla collocazione dei servizi. Per non rischiare di renderli lontani, dunque inutilizzabili, a una parte della diocesi.
A Susa, diocesi suffraganea di Torino, che si distende dalla cintura del capoluogo piemontese lungo la valle che porta al confine montano con la Francia, la Caritas aveva cominciato a riflettere sulla necessità di dare vita a un ambulatorio medico in tempi non sospetti. Cioè prima che l’artiglio del Coronavirus ghermisse l’Italia, compreso – anche se con intensità un po’ ridotta, rispetto ad altri luoghi del paese – questo lembo nord-occidentale dello Stivale. Un servizio in grado di garantire l’accesso alle cure di base anche a chi versa in condizioni di povertà, precarietà ed esclusione sociale non esiste. E se ne sente il bisogno. Con un’accortezza: se collocato male, rischierebbe il sottoutilizzo. O, quantomeno, l’incapacità di rispondere alle esigenze e di affermare i diritti di chi abita nei centri più remoti e isolati.
Così, sin da subito si era rovesciato lo schema mentale, secondo il ben noto adagio: se la montagna non va all’ambulatorio… L’idea di un mezzo mobile attrezzato e polivalente covava sin dagli ultimi tempi pre-Covid. Poi, epidemia e conseguenti lockdown hanno congelato la realizzazione del disegno. Congelato, ma non cancellato. Tanto che il “Caritas bus” è diventato il cuore di una proposta candidata al finanziamento con fondi otto per mille. Che nel 2021 si accinge a diventare realtà su quattro ruote.
 
Il territorio, letto da vicino
La pandemia ha rallentato alcuni progetti e processi. Ma naturalmente non ha smentito, anzi ha comprensibilmente rafforzato l’urgenza di un impegno pastorale sul fronte sanitario. Anche i deboli hanno diritto alle cure. E a essere raggiunti da buone cure. Che spesso sono cure semplici, leggere, preventive. Da non delegare a un ospedale. E da non sottrarre all’abbraccio rinforzante delle relazioni domestiche e comunitarie.
Così, la Caritas diocesana ha raccolto disponibilità. Di medici volontari. Di alcuni specialisti. Di sanitari in pensione. Delle parrocchie, chiamate a far da filtro e da entità inviante. Adesso manca solo l’allestimento del camper, o del piccolo bus, che andrà attrezzato con la strumentazione necessaria. E per il quale andranno stabiliti un criterio e un calendario di circolazione e presenza in ogni angolo della diocesi.
«Puntiamo a fornire alcune prestazioni di base o specialistiche, fornendo a soggetti fragili un’opportunità di accesso alle cure – sintetizza il direttore Caritas, Alessandro Brunatti –. Ma il bus sanitario potrebbe prestarsi anche ad altri compiti, magari un supporto ad azioni vaccinali, oppure lo sviluppo di campagne informative e di sensibilizzazione, che tanto significato possono avere per la prevenzione delle malattie».
Le collaborazioni sono assicurate. Oltre alle Caritas parrocchiali e a volontari medici e infermieri, anche la Croce Rossa locale, altre associazioni, e poi la Caritas diocesana di Torino, con la quale Susa coopera ordinariamente, e la Delegazione regionale Caritas. Sarà importante fare rete, anche per leggere il territorio ancor più da vicino. Nelle sue eterogeneità originarie, nei cambiamenti imposti dall’anno pandemico. I fruitori, per esempio: «Pensavamo, e pensiamo, di rivolgere la nostra attenzione, tramite le parrocchie, a soggetti portatori di bisogni specifici – considera Brunatti –, mamme sole con bambini, anziani ammalati anche di solitudine soprattutto nei piccoli centri montani, immigrati... Ma adesso ci sono nuove povertà». Quelle generate dalla crisi sanitaria, che – come altrove – si sta travestendo da crisi economica, occupazionale, dunque sociale. «In una valle a forte vocazione turistica, sciistica e alpinistica, la stagione invernale compromessa genererà difficoltà per molti impiegati nei settori ricettivo, degli impianti, commerciale in genere». Come a dire: l’idea del bus della salute convinceva già prima. Dopo il virus, anche in un territorio non particolarmente bersagliato dal contagio, convince e serve ancora di più.

Paolo Brivio