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Un mondo nel condominio   versione testuale
17 febbraio 2021

Non sempre la soluzione si trova al primo tentativo. Soprattutto quando i problemi da affrontare sono complessi e si ha a che fare con le persone. Anche la Caritas diocesana di Nola, in Campania, nella ricerca di una soluzione per le molte persone rimaste senza dimora, ha dovuto rivedere in corsa il suo progetto, prima di arrivare a quello che oggi è un interessante esperimento (candidato ai finanziamenti otto per mille) di coabitazione e riscatto sociale, nel comune di San Giuseppe Vesuviano (Na). Si chiama Mondominio, e il nome già racconta che è molto più di un semplice condominio.
«Semplificando il discorso, qualche anno fa ci siamo trovati con un grosso problema da un lato, cioè un'importante emergenza abitativa e un aumento delle persone che restavano senza un tetto sotto cui vivere, e dall’altro un patrimonio di risorse, costituito da molti edifici, di proprietà della Chiesa e di istituti religiosi, vuoti e abbandonati – racconta Raffaele Cerciello, che è vicedirettore della Caritas diocesana e presidente della fondazione Sicar. – Pensare che una questione potesse diventare una risposta è stato semplice, ma trovare il modo giusto per farlo ha richiesto di procedere anche per tentativi ed errori. Che abbiamo aggiustato in corsa». 
 
Un occhio di riguardo ai giovani
Il territorio della diocesi di Nola, che conta 750 mila abitanti, è incernierato tra le province di Napoli e di Salerno, ed è stato contraddistinto negli ultimi anni da una forte crisi abitativa che ha sbattuto per strada molte persone. Non solo migranti che vivono e lavorano qui in condizioni di fortissima precarietà, ma anche italiani che perdono tutto a causa di sovraindebitamenti, della morsa dell'usura, di grossi conflitti familiari. «Abbiamo pezzi di famiglie che si trovano letteralmente espulsi da casa: ci sono padri separati, ma anche donne che si ribellano a una cultura maschilista ancora molto forte e che rimangono isolate. Ci sono persino molti casi di famiglie che si spaccano per soldi o per eredità», spiega Cerciello, convinto che per risolvere la questione abitativa non basti agire sul sintomo e dare un alloggio, ma sia necessario andare alla causa. Che qui, in gran parte, è da ricercare nella crisi dei legami personali e del senso di comunità. «È per questo che dopo 5 anni in cui ci siamo limitati a dare un posto letto a chi era senza dimora, abbiamo rivisto il progetto, anche grazie a fondi otto per mille, e creato “Mondominio”, un luogo che vuole rispondere a diversi bisogni del territorio e favorire relazioni di comunità. Un condominio che sia anche un mondo, in cui darsi sostegno reciproco».
Nella pratica, stiamo parlando di un ex ospizio per anziani, decenni fa gestito da un ordine religioso e ormai vuoto da tempo, risistemato per comprendere diverse attività: al piano terra è stata creata una piazza – «l'abbiamo chiamata “Piazza d'Uomo”, con un gioco di parole» – che richiama simbolicamente le piazze dei vecchi paesi: ci sono una cappella, una mensa sociale, un fornaio e una portineria sociale, dove trovarsi a chiacchierare davanti a un caffè. 
Al primo piano sono stati invece realizzati uffici di coworking, spazi studio e aggregativi, che nel territorio mancavano, con un occhio di riguardo ai giovani che stanno avviando un lavoro e hanno bisogno di una mano per sostenere i costi. «Vorremmo anche intercettare spaccati di povertà potenziali, prima che lo diventino davvero», aggiunge Raffaele.
Il terzo e il quarto piano, infine, sono dedicati alle abitazioni: uno prevede l’accoglienza di persone senza dimora in stanze doppie, cui si può accedere in orario serale e notturno, più o meno come in un dormitorio; l’altro invece è occupato da microappartamenti di housing sociale, affidati a famiglie o persone che si sono trovate improvvisamente per strada, spesso genitori, a volte con bambini a carico. Chi vive qui è accompagnato anche in un percorso di educazione alla spesa, nell’ambito del quale si sta pensando di introdurre un piccolo affitto, «sicuramente contenuto, ma che porti a una responsabilizzazione economica, perché spesso la gratuità totale ostacola la responsabilità».

Per adesso c’è Sebastiano
Il prossimo passo, non appena la pandemia permetterà di riprendere quello che inevitabilmente è stato fermato in questo periodo, sarà rappresentato dall’apertura dell’accoglienza a famiglie o persone che vogliono dedicare un periodo di vita – almeno un mese e mezzo, fino a sei mesi – all’interno di Mondominio, con il ruolo di animatori sociali. «Al momento abbiamo già Sebastiano, un seminarista, che abita nella struttura e lavora per la Caritas, svolgendo un ruolo di educatore peer-to-peer, proprio vivendo e camminando a fianco con le persone accolte. Speriamo di poter presto allargare questa esperienza ad altri».
 
Marta Zanella