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Riapriamo il futuro dei ragazzi   versione testuale
15 marzo 2021

9 marzo 2020. La notizia rimbalza su social e media: da domani scuole chiuse. La novità congela qualsiasi reazione, anzi forse lo stupore è più divertito che preoccupato. Non si ha ancora chiarezza su cosa stia succedendo e sicuramente non balugina l’ipotesi di uno scenario come quello che l’Italia e il mondo interi avrebbero vissuto nei mesi seguenti.
Intrigante, per gli studenti, non essere interrogati l’indomani, vedere rimandati i compiti in classe, poltrire sotto le coperte senza orario la mattina. Poi però passano i giorni, le scuole organizzano la didattica a distanza, il lockdown si protrae, il silenzio si appropria delle strade, le notizie del bollettino Covid peggiorano di giorno in giorno... Insomma, si inizia a tremare. Subentrano ansia e paura. Si teme per la salute dei nonni. Si avverte la mancanza dei compagni. Le palestre chiuse, i sabati sera a casa… la tensione sale. Ma si è ancora presi da quella specie di esuberanza che percorre tutta la penisola. Si parla di “modello Italia”, si canta l’inno nazionale dai balconi. I nuovi eroi hanno il camice, e se essere un medico era già il sogno di molti adolescenti, questa ora diventa una vocazione, una promessa di gloria.
La tragedia, però, presto presenta il conto. Le immagini dei carri militari con le bare. Le cifre di contagiati e morti che continuano a salire. Il Papa che attraversa da solo il sagrato di piazza san Pietro, con una fitta pioggerella che bagna il lastricato e nasconde le lacrime di un’umanità intera. Si resiste. C’è una forza che vibra nell’aria e che fa reggere i cuori nonostante il terremoto non accenni a fermarsi. La generosità spontanea fa nascere gruppi di volontari che portano la spesa ai vecchi isolati nelle loro case, i panificatori regalano pizze e pane caldo, le iniziative si moltiplicano. Chi è votato per propria identità al servizio si attiva: la Confederazione nazionale dei Consultori Familiari lancia l’iniziativa di sportelli di ascolto. E sono tanti i consultori che aderiscono.
 
Cambiamento peggiorativo
In estate sembra tutto superato. Anche se da più voci si levano grida di allarme, i giovani vivono mesi pressoché normali. Ma la pandemia torna a diffondersi in autunno, ed è un incubo: Dad diventa sinonimo di “disagio a distanza” (come titola, ad esempio, la prima pagina dell’Espresso nel gennaio 2021); le richieste di aiuto presso i Consultori si moltiplicano, a dismisura purtroppo. Aumenta anche il caso dei tentativi di suicidio (al “Bambin Gesù” 12 tentativi nel 2011, 300 nel 2020) e spesso sono giovanissimi che esprimono con gesti estremi una confusione che straripa e non trova sponda.
Se in un primo momento la fatica era causata dalla paura del contagio, adesso è frutto del non riuscire a comprendere quali saranno le vie d’uscita da una situazione terribile. Manca l’orizzonte di speranza, che la prima fase della pandemia ancora conteneva: oggi lo scenario dominante è la incapacità di pensare il proprio futuro. E questo vale ovviamente soprattutto per chi vive in funzione del proprio futuro: gli adolescenti.
È un cambiamento psicologico peggiorativo. E chi può essere sponda per i giovani, se non gli adulti? Se crescere è stare con i pari e con loro confrontarsi, misurarsi in forza relazionale e capacità di stupire e restare stupito, di fronte a un malessere così diffuso sono gli adulti che devono intervenire. E lo hanno fatto e lo stanno facendo mettendo in campo competenze, creatività, impegno.
 
I contatti sono sempre gli stessi
A livello educativo, la modalità dell’insegnamento a distanza ha fatto venir meno la parte fondamentale del lavoro educativo e psicologico, ovvero la relazione. Non ci sono più l’incontrarsi, il muoversi l’uno verso l’altro, l’esprimersi con i gesti. E il dover attivare un microfono per parlare non è lo stesso che prendere la parola spontaneamente. I visi sono visti più da vicino, se vogliamo, ma senza altri sensi che la vista. Mancano le strette di mano della compagna sotto il banco in attesa dell’interrogazione, mancano gli abbracci, manca la possibilità di lavorare in gruppo, stretti l’uno vicino all’altro. Per i ragazzi sono saltate le coordinate spazio-temporali principali. La vita e le relazioni si sono rarefatte negli schermi, mancano i luoghi dove conoscere nuove persone, dove fare nuove esperienze. E dura da troppo tempo. Da un anno, i contatti sono gli stessi: difficile incontrarsi per caso e modificare le dinamiche, mancano le sfumature degli incontri veri.
I ragazzi sono più bravi degli adulti nell'uso degli strumenti informatici, e sanno leggere un volto dal video, ma i rapporti così sono meno rassicuranti e meno intriganti. Ogni cosa passa dagli schermi, senza le necessarie mediazioni. Intanto dagli esperti psicologi arriva anche l’allerta rispetto al pericolo del forzato isolamento, nell’età dedicata della costruzione della propria identità, momento in cui non basta il dialogo con i genitori.
 
Un progetto, 300 volontari
I docenti, dal canto loro, hanno affinato le modalità di intervento didattico, imparando in breve tempo a utilizzare le mille risorse online. E anche tornando fra i banchi, si impone la necessità di organizzare spazi di azione per accogliere il bisogno di espressione connesso all’epidemia: in questo frangente storico è molto più utile chiedere di parlare di sé, di narrare i momenti peggiori e le perplessità sul proprio futuro, che assegnare una parafrasi. Per i piccoli il disegno sarà strumento privilegiato per mostrare a sé stessi e agli altri cosa c’è nel proprio cuore.
In questo scenario, gli operatori del settore consultoriale hanno moltiplicato le proprie risorse e fatto cordata. Un esempio lampante di questa volontà, non solo di intervenire in modo efficace e diretto, ma anche di farlo in sinergia, è l’iniziativa Rete Che Ascolta. Promosso dalla Conferenza episcopale italiana tramite la Pastorale della famiglia e delle persone con disabilità, da Caritas Italiana, dai Consultori familiari di ispirazione cristiana e dall’Unione consultori prematrimoniali e matrimoniali, “Rete Che Ascolta” è un progetto che ha visto scendere in campo ben 300 volontari che, da ogni parte d’Italia, hanno messo a disposizione ore del proprio tempo libero per rispondere a richieste telefoniche di aiuto provenienti dalle famiglie.
Un solo numero telefonico (06.81159111) per chiunque, anche telefonando da zone in cui non sono presenti consultori. Un solo obiettivo: ascoltare i bisogni delle famiglie e supportarle, offrendo una soluzione individuata nell’immediato, indirizzando ai consultori sparsi nei territori al fine di avviare percorsi specifici o, se si tratta di disagio economico e di assistenza alle persone con disabilità, indirizzando alle Caritas diocesane o alle équipe locali della Pastorale dei disabili.
Ma l’obiettivo non è solo dare risposte, bensì soprattutto l’offrire ascolto. Dare la possibilità di narrarsi, di dire a un Tu il proprio soffrire, è già fare qualcosa di concreto perché questo malessere trovi elaborazione. Una marea montante soffoca il cuore di chi si sente segregato in casa e impedito nei propri incontri e nei propri sogni: è necessario aprire cataratte che lascino fluire il magone interiore.
Ma sarà necessario che a fronte di tanto bisogno, anche lo Stato si muova, e lo faccia in modo massiccio, con lo stesso impegno e la stessa mole di interventi con cui si sta muovendo per altre cause e altri antidoti. Investire sui giovani è assicurare forza al paese. «È bene investire sui giovani, con iniziative adeguate (…). Non bisogna spegnere il loro entusiasmo!»: lo ha detto papa Francesco, nel 2014. Ma è un appello più attuale che mai.