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Giustizia riparativa, speranza liberata   versione testuale
2 aprile 2021

Un percorso che sia di formazione e accompagnamento per le persone detenute, ma anche per le loro famiglie. E persino per le comunità territoriali in cui vivono. Vola alto, il neonato progetto “Liberiamo la speranza”, promosso dalla Caritas della diocesi di Cerignola – Ascoli Satriano, nella Capitanata pugliese.
L'idea, questa volta, viene direttamente dagli uffici giudiziari di Foggia, che hanno trovato nella diocesi e nella Caritas la sponda giusta per lavorare insieme. Il punto di partenza è tanto semplice quanto rivoluzionario, e ormai riconosciuto da tutti coloro che lavorano nel mondo delle carceri: le persone condannate per reato che, durante il loro periodo di detenzione, hanno accesso a opportunità di lavoro, di formazione o a un percorso di quella che è chiamata “giustizia riparativa”, hanno poi una percentuale di reinserimento nella comunità senza reiterare il reato molto più elevata rispetto a chi sconta la pena in carcere, senza fare nulla.
 
La comunità media l’incontro
«La giustizia riparativa prevede che non ci sia solo la semplice punizione, ma che si accompagni la persona condannata in un percorso che coinvolga anche la vittima, insieme alla comunità, che aiuta e media questo incontro», spiega don Pasquale Cotugno, direttore Caritas diocesana di Cerignola.
Il progetto prevede allora che alcune persone – selezionate dall'Uepe di Foggia, ovvero l’ufficio che si occupa della cosiddetta “esecuzione penale esterna” – possano fare un percorso di educazione alla legalità e un corso di formazione professionale. Per 5 di loro verrà anche attivata una borsa lavoro della durata di sei mesi, poi si spera di poter replicare lo schema per altre persone, qualora la prima esperienza avesse successo.
Un grosso lavoro verrà dedicato alle famiglie delle persone detenute: in particolare saranno previsti corsi di formazione anche per i coniugi, di solito donne («quando il marito è in prigione, le donne con a carico la famiglia diventano facile preda delle mafie», specificano alla Caritas) e un’attenzione particolare è rivolta ai minori.
 
Antonio deve andare a scuola
Minori come Antonio. Che frequenta la quarta elementare. Ancora non sa né leggere né scrivere bene, perché in realtà la frequenta ogni tanto. Per lui e per la sua famiglia la scuola non è una priorità, ce lo portano quando possono. Il padre è in carcere, la mamma ha altro a cui pensare. Anche per Fabio, suo fratello, che ha 16 anni ed è iscritto ancora alla seconda media, la situazione è simile. Con il progetto “Liberiamo la speranza” gli educatori della Caritas hanno iniziato a seguirli e in tempo di scuole chiuse si assicurano che partecipino alle lezioni, hanno fornito loro un tablet per farlo, si prenderanno poi l'impegno di portare Antonio a scuola e lo seguiranno anche nelle attività pomeridiane.
Come per lui, verranno presi in carico altri bambini e ragazzi, figli di detenuti: «Li accompagneremo a scuola, al doposcuola, alle loro attività sportive... Ma non saremo solo taxisti – promette Giuseppe Russo, coordinatore del progetto –; in alcuni casi abbiamo convenzioni con le scuole per poter entrare e seguirli anche in aula, e saremo punto di riferimento anche quando andremo con loro all’oratorio, o nei luoghi educativi che frequentano».
 
Non è un escamotage
Si è detto attenzione alla persona, alla sua famiglia, infine anche alla comunità di cui fa parte. E così il progetto programma di coinvolgere anche il territorio, attraverso una serie di appuntamenti che inizieranno ad aprile. «L’Uepe di Foggia ha una grande difficoltà nel trovare enti, che siano associazioni o parrocchie, o anche datori di lavoro, che accolgano e diano un’opportunità a queste persone. Questo accade principalmente perché c’è scarsa conoscenza di questi progetti e di queste possibilità alternative di scontare la pena, e dei risultati che di solito si ottengono – continua Giuseppe Russo –. Per questo stiamo organizzando una serie di incontri di formazioni per vari destinatari: dai volontari che opereranno nelle parrocchie, nelle cooperative, nelle associazioni, ai datori di lavoro e alle associazioni di categoria. Infine, ci saranno incontri anche per gli avvocati: perché capiscano che le pene alternative sono davvero un’opportunità da sfruttare bene, non un escamotage da richiedere per evitare il carcere».
 
Marta Zanella