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Droghe: in era Covid cambia il consumo   versione testuale
12 aprile 2021

È passato più di un anno da quando il mondo che conoscevamo è stato travolto da un minuscolo virus. Da quel giorno sono entrate nelle nostre case la paura e l’angoscia. E nelle nostre case sono rimasti chiusi i nostri ragazzi. La scelta di lockdown prolungati – necessaria per affrontare la crisi sanitaria che così duramente ci ha colpito – sta però mettendo a dura prova la vita dei più giovani.
L’adolescenza è per definizione un tempo della vita dedicato all’esplorazione del mondo esterno, alla costruzione di un’identità sociale che passa da nuove relazioni e da esperienze forti. Per questo non è indifferente aver rinchiuso in casa i giovani. Qualcuno forse ha pensato che fosse sufficiente ricostruire un surrogato virtuale della scuola ed evitare di interrompere gli apprendimenti didattici. Non è così, e lo sanno benissimo gli studenti, gli insegnati e i genitori. I ragazzi non hanno bisogno solo di nozioni, ma di relazioni, di esperienze dirette, di fisicità, di corporeità. Questo è per loro – per esempio – il tempo dell’innamoramento; ed è molto difficile vivere l’amore attraverso un monitor.
 
Invisibili e inutili alla società
La portata di questa crisi nella vita degli adolescenti è certamente stata sottovalutata. Si sono trovati soli e isolati; hanno sperimentato la paura del contagio, l’ansia di un tempo sospeso e, talvolta, la morte dei nonni con cui avevano condiviso tanto tempo della loro infanzia.
Quando poi l’estate scorsa è stato possibile uscire di casa, in molti casi si era troppo preoccupati dai protocolli anti-Covid per riaprire gli spazi educativi. Così molti giovani si sono ritrovati ancora una volta respinti e sono tornati ad abitare gli spazi pubblici tra di loro, senza nessun adulto che potesse aiutarli a rielaborare un’esperienza che è riduttivo definire traumatica.
Insomma, li abbiamo resi invisibili e inutili alla società. Anche quando è iniziata la campagna di vaccinazione nelle scuole, ci si è drammaticamente dimenticati di loro, come se non esistessero e non fossero i protagonisti principali di quel mondo.
I giovani non sono tutti uguali, hanno storie diverse, famiglie diverse, case diverse, opportunità diverse. Era così già prima della pandemia. Ma in questa fase, queste differenze stanno profondamente segnando il destino di molti di loro. Le emozioni represse per un così lungo periodo di tempo stanno esplodendo e noi assistiamo con preoccupazione a un vorticoso aumento delle situazioni di disagio. Stanno aumentando gli attacchi d’ansia patologici e gli attacchi al proprio corpo, cresce il numero di giovanissimi che vivono un vero e proprio ritiro sociale, aumentano le aggregazioni informali in cui la rabbia si trasforma in episodi di violenza.
 
Ricorso al web sommerso
In questo scenario, la pandemia non ha fatto registrare un calo dei consumi di sostanze stupefacenti: sono “solo” cambiate le modalità di acquisto e di consumo, magari ricorrendo al Deep e al Dark Web (ovvero a reti digitali sommerse e cifrate, che garantiscono l’anonimato di traffici sovente illegali). Un cambiamento non da poco, che impatta notevolmente sulla possibilità di aggancio precoce da parte dei servizi, peggiorando una situazione che già di per sé era critica.
Il rischio è che in tempi medio-brevi il malessere diffuso di una larga fascia di giovani contribuisca a un aumento esponenziale dell’uso autocurativo di sostanze stupefacenti. Sappiamo che l’offerta di sostanze (alcol, droghe sintetiche, nuove sostanze psicoattive, droghe etniche, psicofarmaci…) è in aumento per quantità e tipologia. Un’offerta mirata per target, capillare, quasi individualizzata: ti procuro l’effetto che vuoi. Il mondo delle sostanze è diventato un grande drugstore.
L’esposizione all’offerta è cresciuta anche tra i più giovani. E insieme all’aumento del consumo di sostanze psicoattive, abbiamo visto emergere come prevalente il fenomeno del policonsumo: si mischiano insieme alcol, droghe vecchie e nuove, psicofarmaci.
Le “culture del consumo” sono alla ricerca di effetti sempre diversi. Gli stili di consumo e di abuso variano a seconda del target (nei contesti del divertimento, nei rioni a più alta densità di problematiche sociali, nelle scuole, nelle fasce di popolazione più “vulnerabili”). Il protagonismo dei consumatori più giovani finisce per esprimersi anche nella sperimentazione di nuove sostanze: cannabiniodi sintetici, catinoni, fentanil, un nuovo uso dell’eroina. È anche attraverso questo mondo variegato e complesso che è passato il modo di reagire alla pandemia per parecchi dei nostri giovani.
 
Diffidenza nel futuro
Oggi, ancor più nell’epoca del Covid, viviamo in una società che rimuove o trasforma in malattia somatica o psicologica il disagio sociale e la fatica e la disperazione individuali, che spesso diventano per qualcuno, soprattutto se giovane, una ricerca affannata di un senso e di una prospettiva nella vita. La nostra società cerca di nascondere le sue contraddizioni servendosi principalmente di strategie difensive, che mirano a eliminare e rimuovere il dolore, il negativo, il “tragico” – leggendoli come incapacità dell’individuo a reggere il gioco sociale – e a individualizzare e privatizzare i problemi, per poi trovare soluzioni di anestesia sociale, di igienizzazione individuale e collettiva: un effetto che si può raggiungere anche attraverso l’intermediazione chimica.
Tutto ciò si manifesta in un contesto segnato da una diffidenza estrema nei confronti del futuro, dovuta all’incertezza degli scenari che abbiamo davanti, vissuta intensamente soprattutto nel mondo giovanile ed estremizzata nell’era Covid. Il futuro non è semplicemente ciò che ci capiterà domani, ma ciò che ci permette, nelle crisi, di guardare lontano e di distaccarci dal presente (specie se difficile), ponendoci contemporaneamente in una prospettiva, in un pensiero, in una proiezione.
Se questo è lo scenario, è urgente tornare ad avere uno sguardo attento ai giovani, capire le loro domande e le ragioni profonde dei loro comportamenti. Restituire loro visibilità, dignità e protagonismo sociale, che hanno dimostrato più volte di saper gestire con intelligenza e innovazione.
C’è bisogno di un nuovo patto sociale e generazionale, che consenta di generare quella coesione sociale che è alla base delle possibilità di sviluppo di ciascuna comunità locale. E c'è bisogno di progetti innovativi, davvero capaci di raggioungere i minori (come quelli proposti, sul tema delle dipendenze, dall'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII). Perché il futuro non è altro che il frutto delle possibilità che si costruiscono nel presente.
La crisi pandemica sta contribuendo ad acuire le disuguaglianze sociali tra generazioni, generi, territori, fasce sociali. Il costo del debito contratto per far fronte all’emergenza sanitaria e sociale ricadrà prevalentemente sulle giovani generazioni e rischia quindi di peggiorare ulteriormente la situazione. È necessario un intervento forte di riequilibrio delle risorse e di contrasto a tutte le forme di povertà (economica, educativa, relazionale…), al fine di consentire l’esercizio della corresponsabilità dei giovani e la tenuta del sistema sociale.
I giovani e i giovanissimi stanno già scrivendo il futuro. Nella quotidianità, con linguaggi e pratiche innovative, stanno indicando strategie nuove per affrontare le questioni che riguardano l’intera società. È un bene che dobbiamo coltivare e preservare con ogni mezzo, perché sono lo sguardo e la parola dei giovanissimi che potranno indicarci la strada da intraprendere. Abbiamo bisogno di loro perché i nostri sguardi sono limitati e le nostre parole, da sole, suonano vecchie. Abbiamo bisogno di loro per provare a costruire insieme un mondo più giusto e sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
 
don Armando Zappolini Coordinamento nazionale comunità di accoglienza – Tavolo ecclesiale dipendenze