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Tirocini, per ricostruire la fiducia in se stessi   versione testuale
22 aprile 2021

Un titolo semplice, una visione chiara. Nella diocesi di Belluno-Feltre vengono condotti progetti che fanno riferimento a un piano di intervento unitario: “Accoglienza e solidarietà” offre da alcuni anni risposte a chi si trova nel bisogno sul versante della residenzialità e dell’alloggio, mentre ora “Lavoro e solidarietà” intende occuparsi di soggetti che manifestano fragilità in ambito lavorativo, che rischiano di essere acuite dallo scenario economico generato dalla crisi pandemica.
Quest’ultimo progetto, finanziato con fondi otto per mille Italia, si propone in particolare di curare l’inserimento nel mondo del lavoro di persone con difficoltà occupazionali, tramite tirocini che hanno un valore formativo ma che hanno l'ambizione di configurarsi, in prospettiva, come veri e propri inserimenti lavorativi. Il progetto, definito e promosso dalla Caritas diocesana, viene gestito dal Ceis – Centro italiano di solidarietà Belluno onlus, ente accreditato presso la regione Veneto per la formazione di tirocini per il lavoro, con il quale l’organismo ecclesiale lavora da tempo. «Programmiamo 16 tirocini, con una durata media di 6 mesi, sovvenzionati con borse lavoro da 500 euro mensili. In questo momento – ammette il diacono Francesco D’Alfonso, direttore della Caritas di Belluno-Feltre – è difficile trovare imprese che accettino tirocinanti, e non per un problema di costi, in quanto il maggior onere finanziario lo affrontiamo noi, ma a causa della pandemia. Le aziende, che hanno lavorato con ritmi meno intensi, hanno parte della produzione stoccata, in attesa della definitiva riapertura».
 
Farsi trovare pronti, nonostante la precarietà
Eppure Caritas non demorde. La proposta resta viva. «Le persone a cui proponiamo l’inserimento lavorativo – riferisce il direttore D’Alfonso – sono in parte persone senza dimora, che vivono in piccole strutture d’accoglienza. L’obiettivo è poter restituire un po’ di fiducia a individui che l’hanno persa, sono senza lavoro, fanno fatica a risollevarsi da soli dalla condizione in cui sono caduti, con un’età che non aiuta. Altri beneficiari sono persone che hanno una casa, ma per altri motivi hanno difficoltà sociali e relazionali e non riescono a rimettersi in gioco e a trovare lavoro. Poi ci sono gli immigrati che faticano a inserirsi nel tessuto sociale, anche a causa di situazioni normative e burocratiche ostative: soggetti che avevano il permesso di soggiorno ma che, avendo perso il lavoro, non possono rinnovarlo. Lavoriamo a stretto contatto con il Ceis sia per individuare le persone idonee per l’inserimento, sia per capire come è meglio procedere con l’accompagnamento, valutando al meglio se le modalità e le azioni intraprese funzionano e sono valide. Ci piacerebbe che le borse-lavoro potessero trasformarsi in veri e propri contratti di assunzione, e operiamo in questa direzione, anche se questo è il periodo meno indicato».
Così, Caritas e Ceis sono preparati al fatto che una persona, dopo 6 mesi, non riesca a inserirsi stabilmente nel luogo di lavoro che ha frequentato per il tirocinio. La situazione di precarietà, dello scenario generale e delle vicende individuali, non deve però pregiudicare il valore delle progettualità. Certo, non è facile operare in un contesto occupazionale e in un mercato del lavoro che, già prima della pandemia, erano caratterizzati dall’ampia diffusione di contratti a termine, tali da consentire alle aziende, in fasi di difficoltà, di non dover nemmeno licenziare, ma di potersi limitare a non rinnovare i contratti. «Eppure, in ogni caso, una persona che svolge per alcuni mesi un’attività torna, generalmente, a sentirsi utile e parte della collettività, matura autostima e consapevolezza, si rende conto di essere in grado di lavorare e dunque di poter riprendere nuovamente in mano la propria vita». Per quanto breve sia il periodo, insomma, sei mesi di attività remunerata con 500 euro possono rappresentare comunque, per chi viene da una lunga inattività e da un limbo di profonda sfiducia in se stessi, una potente leva di inserimento sociale. «Per gli immigrati – conclude D’Alfonso –, che se rimangono a lungo senza lavoro rischiano l’espulsione, e che comunque senza un progetto di vita rimangono confinati in un limbo come zombie. Ma in generale per ogni uomo e donna che si trovino da lungo tempo senza occupazione. A tutti costoro, “Lavoro e solidarietà” offre una presa in carico globale, e interventi che in definitiva li incoraggiano a riprogettare il proprio percorso di vita». Prima o poi l’economia tornerà a girare. E chi oggi è ai margini del mercato del lavoro, avrà chance in più per farsi trovare pronto.
 
Maria Assunta Casati