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Il futuro, da promessa a minaccia   versione testuale
19 maggio 2021

Il Ramadan 2021 si è chiuso in Tunisia in un clima triste, teso, surreale. Per il secondo anno consecutivo, il mese più importante del calendario islamico non ha visto lo spettacolo del quartiere della Medina di Tunisi illuminato tutta la notte, persone riempire caffè e ristoranti, gruppi di fedeli uscire dalle moschee dopo le affollate preghiere. È stato un altro Ramadan funestato dal Covid e rattristato dalle severe limitazioni agli spostamenti, soprattutto il coprifuoco dalle 19: proprio quando, di solito, le città si risvegliano dal torpore del pomeriggio e le famiglie escono per cenare con parenti e amici. 
Ma il sacrificio maggiore è stato chiesto ai tunisini l’ultima settimana del mese santo, quella dell’Aïd el-Fitr, a fine Ramadan. La decisione del governo – a partire dal 7 maggio – è stata necessaria quanto sofferta: una nuova settimana di lockdown duro. Questo ha sconvolto abitudini popolari e radicate, proprio in previsione di celebrazioni, tradizionali vacanze e incontri famigliari a cui il popolo tunisino, da oltre un anno in profonda crisi socio-economica, non avrebbe facilmente rinunciato. È stata la misura culmine di un’escalation di restrizioni rese necessarie da una situazione sanitaria «molto pericolosa»: a fine aprile, il confinamento per gli arrivi dall’estero era tornato coattivo, mentre si allungava il coprifuoco, e le scuole erano state nuovamente chiuse. Decisione grave, ma tardiva e ancora insufficiente rispetto ai due mesi di confinamento che molti medici chiedono come il minimo per evitare la catastrofe, incipiente ai loro occhi, con nuovi malati che arrivano in ospedale senza sosta e che – non riuscendo a entrare in reparti sovraffollati – finiscono in lista d’attesa. La crisi sanitaria ha ormai toccato un picco elevatissimo: sono centinaia i nuovi contagi e decine i morti ogni giorno, le terapie intensive degli ospedali sono allo stremo (ospitavano a metà maggio la cifra record di 500 persone), conferma di quella che ormai senza ombra di dubbio va ritenuta la più grave crisi sanitaria della storia del paese.
 
Un crollo sorprendente
Quello vissuto dalla Tunisia è stato un crollo sorprendente: da paese del Nord Africa meno colpito dalla pandemia, così come era stato nella primavera 2020, a stato più colpito in assoluto ad aprile 2021. Impietosi i dati: 138 casi giornalieri su 1 milione, contro i 54 della Libia e i 10 d’Egitto e Marocco; 26.377 casi totali su 1 milione, contro i 13.867 del Marocco, simili ai 25.886 della Libia (paese in guerra); soprattutto, 920 morti per milione, contro i 442 della Libia, i 132 dell’Egitto e i 245 del Marocco. La terza ondata, insomma, sta mettendo il sistema-paese a dura prova, e quello sanitario a rischio collasso: la diffusione delle varianti inglese e indiana è fuori controllo. Reparti di pronto soccorso, reparti ordinari e terapie intensive (sature ormai al 92%) sono invasi da migliaia di pazienti. La Tunisia conta ormai 11.849 morti totali e 326.572 contagiati su un totale di meno di 12 milioni di abitanti, e si tratta di dati notoriamente sottostimati. Ciò che preoccupa ora è la disponibilità d’ossigeno, di cui si avverte la drammatica insufficienza, con un numero di pazienti raddoppiato in un mese e un bisogno di terapie intensive quadruplicato. La produzione nazionale non supera, al massimo delle forze, i 100 mila litri al giorno, mentre il fabbisogno quotidiano raggiunge ormai i 170 mila litri. Giungono bombole da Italia, Francia e Algeria, ma non basta. E il bisogno potrebbe arrivare a 200 mila litri in pochi giorni, se la trasmissione del virus proseguirà ai ritmi raggiunti a metà maggio.
Il sistema sanitario nazionale tunisino, d’altronde, è debole e sottofinanziato, e notevoli sono i sacrifici richiesti al personale: scarso il materiale a disposizione, mentre le risorse umane più qualificate da tempo espatriano in massa, in cerca di salari dignitosi, e il mancato pagamento degli stipendi è cronico. Dalla “Rivoluzione dei Gelsomini”, avvenuta ormai 10 anni fa, innesco delle cosiddette “Primavere arabe”, la fuga dei talenti è stata continua, e negli ultimi 3 anni ha ulteriormente accelerato i suoi ritmi; si calcola che, dal 2018, se ne siano andati dal paese il 60% dei medici e l’80% dei laureati dal 2018. La situazione, in molti ospedali, è grave e, secondo diverse fonti, inumane sono le condizioni in corsia: una crisi diffusa, che ha scatenato scioperi da parte del personale residuo. Così, fin dalle prime fasi della pandemia, molti medici in pensione sono stati richiamati, ma la situazione complessiva appare insostenibile, soprattutto in vista della quarta ondata, più che probabile considerati i tempi deludenti della campagna vaccinale.
Se infatti è vero che il mancato rispetto delle norme preventive non aiuta il controllo del contagio (rare sono le mascherine, per le strade delle città e dei villaggi tunisini), ciò che pesa sulla situazione sanitaria del paese è l’andamento della vaccinazione, che non tiene il passo con quello del contagio. Anche grazie al sostegno internazionale, la campagna è iniziata nel marzo 2021: efficiente, a parere di chi ha avuto la prima dose, ma le difficoltà restano oggettive per mancanza di personale, ritardi nell’arrivo dei vaccini, e soprattutto per una diffusa diffidenza circa l’utilità del ricorso al siero (sempre a metà maggio erano 1 milione 200 mila gli iscritti sul portale del ministero della Salute, un decimo della popolazione). In prospettiva, appena un tunisino su tre pensa di vaccinarsi, mentre ancora nello scorso marzo il 46% della popolazione era fiducioso nella protezione d’erbe tradizionali. Risultato inevitabile: solo 537.380 erano, al 17 maggio, le prime dosi somministrate, con il 3,39% delle popolazione immunizzato, contro il 25,24% del Marocco.
 
Colpiti i già debolissimi
Nel pieno d’una simile emergenza sanitaria, in Tunisia è difficile pensare ad altre priorità, come quelle economiche e sociali, le quali tuttavia da tempo si impongono: il Covid ha sorpreso il paese in un contesto socio-economico deteriorato. Il lockdown integrale, rimosso dal 17 maggio, è stato rimpiazzato da misure rigorose, con la riapertura di scuole, luoghi di culto e luoghi ricreativi: ma ciò non basterà per la ripresa delle attività sociali e produttive. Nel 2021 si prevede che il Pil crolli del 7%, flessione che si va ad aggiungere al -8,2% del 2020. Ma le cifre non rendono l’idea dei danni reali, distribuiti in modo ineguale nella popolazione: le categorie più colpite sono quelle già debolissime e poco tutelate del trasporto, della ristorazione, del commercio. La stagione turistica si preannuncia difficile per il secondo anno di seguito, in un paese che trae dal settore il 16% del suo Prodotto interno lordo, e con una popolazione che ne dipende per il 20%. Da non sottovalutare, peraltro, è l’effetto accumulo: la Rivoluzione araba (2011) prima e gli atti terroristici (2015) dopo hanno fortemente indebolito l’effetto economico di quello che è sempre stato il “petrolio del paese”. Inevitabile, di conseguenza, che la disoccupazione sia giunta ormai al 34,9% nella fascia giovanile (15-24 anni). E le cifre, come detto, rischiano di essere fuorvianti, perché riferite alla sola economia formale, che in Tunisia rappresenta non più del 30-50% del Pil. La disoccupazione corre di pari passo alla crisi del commercio al dettaglio, un terzo del quale è a rischio bancarotta fin dalla prime due ondate del 2020.
Nel quadro dell’ansimante Tunisia odierna, è il ceto medio a perdere ancora, e con esso la democrazia. Il clima di esasperazione vissuto soprattutto dai giovani è forte: soprattutto nei primi mesi del 2021, le proteste di piazza sono state rilevanti. L’anniversario della “Rivoluzione dei gelsomini” si è svolto in un clima di rabbia e frustrazione, soprattutto nei quartieri più poveri della capitale, non senza scontri con la polizia. 
 
Rischia di perdere la speranza
Durante l’intero corso della crisi, Caritas Tunisia ha raccolto la sfida, assicurando il servizio d’ascolto e la distribuzione di generi di prima necessità. Fedele alla sua visione, la Chiesa tunisina non si è limitata a emergenza e distribuzioni di disinfettanti e mascherine a centinaia di famiglie, ma è rimasta consapevole della profondità dei problemi e dell’effetto moltiplicatore che questi possono avere in futuro in termini di abbandono, degrado, violenza.
L’azione Caritas si è estesa neglio ambiti di salute mentale e sostegno agli effetti dello stress psicologico, della continuazione della scolarizzazione, delle attività generatrici di reddito soprattutto per le donne. Ma il bisogno è enorme. «Per molti il futuro è più una minaccia che una promessa», confida la direttrice di Cartias Tunisia, Speciosa Mukagatare, secondo la quale l’avvenire è nel segno dell’incertezza.
La Tunisia era un paese già in grave esposizione finanziaria nei confronti di Banca Mondiale e Fondo Monetario per i prestiti ricevuti, e per questo impegnato da anni in impopolari tagli alla spesa e riduzione dei servizi. Un’esplosione del deficit annuo di 6,8% nel 2020 e un debito ormai al 87% sul Pil, resi necessari dagli interventi sociali per la pandemia, annunciano lugubri effetti sullo sviluppo di lungo periodo, in un difficile post-crisi che si avvicina, ma che nelle menti di tutti per ora sembra lontano. «La generazione di tunisini che ha fatto la rivoluzione – conclude la direttrice Mukagatare – rischia di perdere l’unica risorsa che finora non era mancata: la speranza».
 
Federico Mazzarella