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 "La vita, le speranze, le star e le pecore..." 
Martedì 26 Luglio 2011
"La vita, le speranze, le star e le pecore..."   versione testuale
di Danilo Feliciangeli, operatore Caritas Italiana a Lampedusa
     
Sono molte le storie che si intrecciano e si sovrappongono in questo lembo di terra in mezzo al Mediterraneo che è Lampedusa. Da sempre l’isola è stata punto di approdo di popoli e culture.
 
I lampedusani stessi sono arrivati sull’isola come “immigrati” o “confinati” e sono partiti e partono come “emigranti”, nei primi del Novecento anche diretti su quelle stesse coste del nord Africa da cui oggi partono in migliaia in cerca di futuro.
 
Se le ascolti una ad una le storie di Lampedusa si fa veramente fatica a non appassionarsi… Sono storie di lampedusani che amano la loro terra ed il loro mare.
 
Dal parroco che gira l’Italia senza sosta per raccontare la sua comunità, all'eremita che viveva nel Santuario della Madonna di Porto Salvo accogliendo musulmani e cristiani, dai giovani dell’associazione culturale Askavusa, che vorrebbero fare a Lampedusa il museo dei migranti, per non perdere la memoria, ai volontari di Legambiente, che strappano terre e mari all’abusivismo edilizio per farne riserve protette per bagnanti e tartarughe…
 
Sono storie di chi produce e vende specialità alimentari tipiche, di chi cerca di realizzare un archivio fotografico storico di Lampedusa, andando a cercare in tutta Europa vecchi marinai, di chi lotta contro il deserto per creare un angolo di paradiso verde in quest’isola disboscata dai Borboni…
  
Ma queste storie silenziose non fanno rumore, non fanno notizia… Per questo Lampedusa è anche Claudio Baglioni e il suo festival pieno di cantanti famosi, è Angelina Jolie con il suo stuolo di truccatori e guardie del corpo, è il presidente del Consiglio, il presidente del Senato, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, stuoli di delegazioni di parlamentari. Ora tutti vengono a Lampedusa, anche le pecore…
  
In tutto questo andirivieni di personalità, sono sbarcati a Lampedusa dal Nord Africa 40.000 immigrati e una pecora.
  
Sono storie pesanti quelle dei migranti che sbarcano sull’isola, che recano in sé una sofferenza che avanza per gradi, per step successivi, muta, ma non si esaurisce.
 
C’è chi come Shibli arriva da Lampedusa partito dalla Libia, ma non è libico, non è africano, viene dal Bangladesh. Lavorava in Libia prima della guerra, come gommista in un’officina.
 
Lo incontro sul molo commerciale a Lampedusa appena sbarcato, una notte di fine aprile in cui fa ancora freddo. Ci scambio due parole, parliamo del Bangladesh, gli si illumina il viso quando gli dico che sono stato nel suo Paese, che conosco Dhaka, Kulna… Mi chiede dove si trovi ora: «Siamo in Europa?». Mi chiede se ho uno spazzolino da denti… Sono tre giorni che non li lava…
  
Cosa c’era nella vita di Shibli prima dell’arrivo a Lampedusa? Quanta sofferenza in Bangladesh, uno dei Paesi più poveri al mondo? Quanti sacrifici prima di arrivare in Libia dal Bangladesh, quanti sacrifici in Libia, vivere da immigrato in un Paese come quello.
 
Poi la guerra, le bombe… Chi sa cosa ne pensa lui di Gheddafi, della Nato, della democrazia… Ma forse non ha avuto tempo di pensare, morire in Libia per le bombe o in mare non fa molta differenza… Via, si parte di nuovo, verso l’Europa.
    
40, 50 ore di navigazione. Erano più di 700 quella notte a bordo di un vecchio peschereccio, stipati come sardine, senza servizi igienici, con scafisti che guidano le barche leggendo un manuale d’istruzioni. Ma quei 700 ce l’hanno fatta, sono arrivati vivi a Lampedusa, non aumenteranno la conta dei 1500 morti in mare dall’inizio dell’anno. Uno ogni 11 persone partite! 
  
Ed ora sei in Europa, Shibli, o meglio, sei in Italia, o meglio, sei a Lampedusa… la porta d’Europa, non l’Europa, sei sulla soglia, ospite in attesa di entrare.
  
È passato più di un mese da quell’incontro, ora Shibli e i suoi amici bangladesi non sono più a Lampedusa, sono stati trasferiti dalla Protezione civile a bordo di un traghetto. Sono in qualche Centro di accoglienza del nostro Paese in attesa di capire quale sarà il loro destino.
  
Forse riusciranno ad integrarsi, a lavorare, a far venire la famiglia, o forse no, resteranno clandestini, a vendere rose alle coppiette sedute nei ristoranti del centro, a dormire in dodici in uno scantinato, a fuggire dalla Polizia… Passo dopo passo, da una sofferenza all’altra.

E la pecora?
  
Già, c’era anche una pecora a bordo di una barca giunta dalla Tunisia. All’inizio si era sparsa la voce che fosse stata portata per allattare un neonato che si trovava a bordo, poi che fosse stata una specie di dono, per festeggiare l’arrivo a Lampedusa con una grigliata sulla spiaggia.
  
Probabilmente era solo un gesto goliardico di un giovane tunisino, già rimpatriato da Lampedusa poche settimane prima, che per prendersi gioco di quell’Europa che lo aveva lasciato sulla porta aveva con sé un simpatico ovino in omaggio.