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Volontari, tempo di relazioni rinnovate   versione testuale
13 luglio 2020

Il Coronavirus non ha avuto un impatto solo negativo, segnato da morte, sofferenza, preoccupazione, chiusura, aumento delle persone in difficoltà. Una delle note positive, per il mondo Caritas e non solo, è costituita dai tanti nuovi e giovani volontari che si sono avvicinati alle organizzazioni di solidarietà sociale.
L’11 marzo la Caritas diocesana di Rimini ha scelto di lasciare a casa i volontari con più di 65 anni, in un momento particolarmente difficile. Quei volontari storici, seppur consapevoli dei rischi, hanno vissuto quel passaggio con difficoltà, a volte perfino con risentimento, astio e rancore. A poco è servito coinvolgerli in servizi di compagnia telefonica per le persone che conoscono da tanti anni.
 
Non sarebbero mai venuti in Caritas
D'altra parte, Caritas Rimini ha scelto di accogliere nuovi volontari. A un appello fatto in rete hanno risposto più di 200 persone, la gran parte sotto i 40 anni. Costoro, ed è fonte di rammarico, non hanno potuto ricevere il testimone da chi, per tanti anni e con tanta attenzione e cura, ha dedicato tanto tempo alle persone più fragili. Non hanno potuto ascoltare dalla viva voce dei volontari storici vicende e racconti, confessioni e grida, sorrisi e lacrime. Non hanno ascoltato come l'altruismo e l’umanità hanno fatto da contraltare alla fatica e alla stanchezza, allo scoraggiamento.
I nuovi volontari sono stati impiegati a contingenti, in turni molto strutturati. Alle 9 arrivavano i 7 volontari del “Giro Nonni”, che preparavano i cestini con il pasto e poi partivano per le consegne. Alle 10.15 arrivavano i 5 volontari della mensa. E così via…
La consapevolezza di compiere qualcosa di semplice ma importante e vitale per tante persone, la paura del virus, il sentirsi protagonisti, il clima gioioso e scherzoso che si è comunque creato, la comunicazione sui social, il sentire accolte le istanze presentate hanno creato legami molto forti tra i nuovi volontari e con l’organizzazione. Quei legami che solo il lavoro gomito a gomito e la condivisione di fatiche, preoccupazioni, gioie e traguardi possono creare.
Molti di quei giovani, probabilmente, non sarebbero mai venuti a far volontariato in Caritas. Eppure, quando abbiamo proposto momenti di spiritualità e preghiera (la recita del Padre Nostro, la preghiera per il mese dedicato a Maria, la preghiera ecumenica, la preghiera per il Creato) hanno partecipato con un’intensità che metteva i brividi.
 
Si è sentito scavalcato
Durante i mesi in cui il Covid-19 mordeva forte, si è levata la voce di qualche storico volontario, preoccupato e forse geloso che la Caritas andasse avanti anche senza di lui: «Non ci volete più!». Quanto ai nuovi, dopo alcune settimane c’è chi ha ripreso il lavoro, lasciando il posto ad altri volontari novizi. I contatti, nella gran parte dei casi, sono però rimasti, anche solo per via di qualche messaggio o telefonata. Alcuni che lavorano durante la settimana hanno offerto la propria disponibilità per il fine settimana o per la sera, con l’unità di strada. Altri, impegnati nella stagione turistica, si sono prenotati per ottobre. Paradossalmente, è ora forse più semplice mantenere relazioni vive con chi ha condiviso il servizio in un periodo così intenso, che coltivare il rapporto con chi si è sentito escluso, scavalcato, non considerato.
I nuovi volontari vengono “curati” anche grazie a uscite in barca per socializzare: il mare, il tramonto e l’aperitivo fanno da sfondo alla nuova comunità che sta nascendo; finalmente con più leggerezza, ci si confronta e, insieme, si volge lo sguardo verso il futuro. In alcune occasioni, a volte anche in piccoli gruppi, si vanno a trovare coloro che hanno lavori stagionali. E in luglio è prevista una cena sulla terrazza di un ristorante gestito da una nuova volontaria.
Certo, delicati e complicati sono il dialogo e la relazione con chi, per tanti anni, ha portato avanti i servizi della Caritas e ora non vede l’ora di rientrare e tornare a fare come si è sempre fato, così come è capace di fare, trovando difficile immaginare che si possa agire in maniera differente. Il rischio che, dopo tanti anni, si avverta un servizio come proprio, e non della Caritas e della Chiesa, è veramente alto. Tanti anni di incontri al centro di ascolto rischiano di attenuare lo stupore e l’attenzione che solo un incontro nuovo può consentire. Sino a creare una sorta di dipendenza a circolo vizioso: il beneficiario inesorabilmente, senza alcuna discontinuità, viene a ritirare i buoni per la mensa, il volontario dà un senso alla propria presenza al centro di ascolto, senza chiedersi e chiedere cosa poter fare per cercare di dare un senso alla vita di chi è nel bisogno.
 
Programmare una rotazione
Per recuperare la freschezza della relazione, ma anche la linfa del servizio, sarebbe importante prevedere e programmare una rotazione nei servizi, ogni tre o quattro anni: chi è al centro d’ascolto passa alla mensa o alla distribuzione vestiti, chi è all’accoglienza al servizio docce, o al Giro Nonni… e così via.
In questo modo non ci si adagerebbe sul «si è sempre fatto così», e la novità del servizio, ma anche l’esperienza precedente, porterebbero sicuramente anche a suggerire miglioramenti.
Dunque il tempo in cui siamo può rivelarsi un vero tempo di grande grazia, se saremo capaci di metterci in gioco e di accompagnare nuovi e vecchi volontari, così come facciamo con le persone che si rivolgono a noi, a costruire relazioni significative, che sappiano mettere al centro del servizio la persona in difficoltà, la comunità dove vive e la Caritas-Chiesa.
Solo cercando di recuperare queste dimensioni si può uscire dal servizio individualistico, che ricerca il soddisfacimento personale e vede il nuovo volontario non come un dono, ma come un avversario.
 
Mario Galasso
direttore Caritas diocesana di Rimini