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Lockdown a Pescara, stagione di riscatto   versione testuale
21 agosto 2020

Teresa partecipa a un programma di inserimento sociale e lavorativo per persone senza dimora ed ora vive in un’abitazione confiscata alla malavita assegnata al comune di Pescara;da lì ha riallacciato i rapporti con figlio e nipotina. Antimo ha ripreso a lavorare, offrendosi per incarichi saltuari e trovando l’occasione per riavvicinarsi alla sua ex moglie. Ivan è in attesa di entrare in una comunità di recupero per tossicodipendenti e nel frattempo offre il suo tempo come volontario presso mensa e dormitorio della Cittadella dell’accoglienza “Giovanni Paolo II”. Linus ed Evans, infine, hanno espresso il desiderio di riabbracciare le proprie famiglie in Nigeria e di farlo in tutta sicurezza; per questo stanno svolgendo un percorso che li condurrà al rimpatrio assistito.
Cosa hanno in comune Teresa, Antimo, Ivan, Linus e Evans? Tutti sono stati accolti dalla Caritas diocesana di Pescara-Penne durante il lockdown dovuto al Covid-19, tra marzo e maggio scorsi. Insieme ad altri 29 accolti, hanno vissuto i giorni del picco dell’emergenza sanitaria nel “Villaggio di emergenza”, composto da 4 tensostrutture, allestito dalla Caritas diocesana in collaborazione con il comune di Pescara e la Protezione civile; un periodo di 65 giorni, in cui gli operatori presenti hanno preso in carico ciascuno per avviare, anche con il coinvolgimento della rete cittadina, progettualità individualizzate per l’uscita dalla condizione di marginalità e fragilità.
Nei momenti della massima emergenza si è voluto creare uno spazio nel quale ognuno ha avuto modo di fermarsi, di sentirsi accolto e di ripensare la propria vita, testimoniando che ciò di cui si ha bisogno è un luogo sicuro dove qualcuno che sia un riferimento offra accompagnamento e sostegno nel recupero delle proprie risorse e potenzialità. Il villaggio è stato un luogo pensato per trasformare l’emergenza sanitaria, fatta di incertezze e paure, in una sorta di palestra per la progettazione del proprio immediato futuro, tramutando la crisi del periodo in opportunità concrete.
 
Il gioco, per superare barriere emotive
Nei giorni in cui l’hashtag #Iorestoacasa campeggiava su social e media tradizionali, si è fatto in modo di fornire una casa a chi non l’aveva, costruendo con la comunità tutta – attraverso volontariato, donazioni di materiali, attività di animazione e coinvolgimento – un luogo di accoglienza e cura, e sperimentando attivamente la generosità e la solidarietà del territorio, che ha raccolto l’invito a fare insieme, comprendendo l’importanza e la bellezza dell’essere prossimi all’altro.
Non sono mancati momenti di leggerezza e buon umore ad accompagnare questo periodo: anche e soprattutto attraverso la convivialità, il gioco e le varie attività di animazione si è riusciti a superare barriere emotive e a creare un clima di apertura, amicizia e fiducia.
Tutti gli accolti, dopo la dismissione del Villaggio di emergenza, hanno trovato ospitalità presso la Cittadella dell’accoglienza “Giovanni Paolo II”, che durante il lockdown ha ospitato altre 44 persone, in attesa di definire o iniziare a intraprendere il progetto individualizzato pensato e condiviso insieme agli operatori.
Nell’ambito della prossimità, in questa emergenza è stato fondamentale anche il contribuito del “servizio docce”: 99 persone accolte quotidianamente hanno beneficiato dei servizi offerti, ovvero cura dell’igiene personale, lavanderia e barberia. Anche questa attività ha rappresentato un punto di riferimento per le persone senza dimora, un luogo di accoglienza in cui svolgere azioni routinarie importanti, che scandissero positivamente le giornate, grazie alla cura di sé e all’interazione sociale.
Le parole dei diretti interessati riassumono, meglio di ogni possibile analisi, l’esito di questi percorsi. «Entrare nelle tende è stata una grande esperienza e una salvezza di vita, conoscendo tante persone e superando difficoltà e sofferenze (…). Alla fine ho conosciuto operatori simpatici e sempre disponibili. Ho cominciato già un programma e ne sono fiero, vado avanti così a testa alta per dare una svolta alla mia vita. Grazie a tutti, vi voglio bene. La vita è bella», ha lasciato scritto Ivan.
«Ho avuto un’esperienza di strada e non sapevo cosa fare nella vita, ma nel Villaggio ho trovato aiuto da parte degli operatori della Caritas e ho capito il senso della vita – ha concluso anche Teresa –. Grazie di cuore a tutti, rimarrete un bel ricordo. Vi voglio bene».