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Andare verso i sofferenti, rinascere dal lutto   versione testuale
6 giugno 2020

Era solo un magazzino, prima. Un deposito a cui attingevano Caritas parrocchiali e centri di accoglienza per preparare i pacchi alimentari da distribuire alle famiglie già seguite, o per rifornire le cucine delle comunità di accoglienza. Ma il Covid ha cambiato anche il magazzino delle provviste alimentari della Caritas diocesana di Mantova, che «è diventato un servizio vero e proprio».
«È successo un po’ perché gli addetti delle parrocchie non potevano più spostarsi fuori dai confini comunali, e quindi abbiamo iniziato a servirli noi, ma soprattutto perché hanno iniziato ad arrivarci direttamente richieste di aiuto da parte delle famiglie», racconta Silvia Canuti, la direttrice della Caritas diocesana. Parla di un raddoppio delle famiglie che hanno espresso un bisogno: «Almeno 150 nuclei del mantovano ci hanno contattato per la prima volta: parliamo di circa 700, 800 persone. C’è chi ha perso il lavoro, chi ha condizioni di salute precarie, chi ha dovuto affrontare grosse spese funerarie. Anche questo ha generato difficoltà».
E così, a fronte di così tante telefonate, anche al numero di telefono privato della direttrice, lei ha risposto potenziando la distribuzione degli aiuti. Al magazziniere, che fino a febbraio era l’unico lavoratore impegnato nel servizio, ha affiancato gli operatori che erano rimasti liberi. Ha creato un sistema di schede dedicate a ciascuna famiglia, in modo da poter ricordare tutti i bisogni specifici e le esigenze particolari e rispondere nel modo più efficiente possibile.
 
Le ciabatte e le colombe
I servizi di accoglienza sono rimasti aperti, così come la comunità per donne maltrattate e Casa San Vincenzo: «Tutti gli operatori sono rimasti in servizio, con tutte le precauzioni; per fortuna solo uno si è ammalato. Abbiamo invece sospeso l’accesso alle volontarie, per eliminare il rischio dato da un grande turnover delle persone».
Tra i grandi dimenticati di questa emergenza ci sono stati i bambini e i ragazzi. Dimenticati, non dalla Caritas però. Quella di Mantova ha provveduto – grazie a una bando di Caritas Italiana per la lotta alla povertà educativa – a dotare di computer e stampanti gli alloggi di accoglienza e le famiglie in difficoltà, per permettere ai ragazzi di seguire le lezioni a distanza, «perché abbiamo famiglie che non solo non hanno il computer, ma non hanno nemmeno un cellulare».
Un progetto speciale ha riguardato anche il supporto dei detenuti del carcere di Mantova – «un carcere piccolo: ospita 140 persone tra sezione maschile e femminile, ma con poche risorse» – che, sospese le visite dei parenti, non hanno più avuto accesso ad alcuni beni essenziali. «Abbiamo fornito a ciascun detenuto materiale per l’igiene personale, come shampoo e bagnoschiuma, schiuma da barba, sapone per lavarsi i vestiti, anche detergenti per la pulizia delle celle e dei luoghi comuni, fino all’intimo e alle ciabatte – racconta Silvia –. Sono oggetti che di solito portano loro le famiglie; è vero che si possono trovare anche al bazar interno, ma lì tutto costa cinque volte tanto che all’esterno, e sono pochi quelli che possono permetterselo».
A differenza di altre grosse carceri in altre città italiane, qui non ci sono state rivolte. La direttrice è convinta che aver sostenuto materialmente e soprattutto psicologicamente i detenuti, nel periodo di massima difficoltà, abbia dato i suoi frutti. «A Pasqua abbiamo consegnato a tutti, ai detenuti ma anche alle guardie e al personale di servizio, una colomba: una piccola cosa, ma era un simbolo per dire la nostra vicinanza».
 
Il lato più duro del dolore
Ritorna spesso, nelle parole della direttrice, l’idea di andare incontro agli ultimi, di “esserci” per loro. Lei lo ha fatto, anche nei giorni più duri della pandemia. Quelli in cui, a distanza di otto giorni, ha perso prima il papà e poi la mamma, a causa del Covid. Nonostante il dolore, non si è quasi fermata. 
«Mi sono molto stupita della mia reazione: a parte i due giorni in cui ho seppellito i miei genitori, sono sempre stata presente in Caritas – racconta –. La gente aveva il mio numero, chi aveva bisogno chiamava e scriveva, io ho continuato ad andare nei territori e nelle comunità: rispondere e sapere di essere di aiuto agli altri, di stare accanto a loro, mi ha permesso di rinascere dal lutto e di affrontare anche il lato più duro del dolore, quello di non essere potuta stare accanto ai miei negli ultimi giorni di sofferenza. Questo è stato l’aspetto più brutto della pandemia: ci ha tolto la dimensione umana dello stare accanto».
Forse anche questa riflessione ha pesato nella definizione dei progetti per la “fase 3”, per ciò che resterà di quel che è nato durante l’emergenza. «Vorrei che la dimensione che abbiamo sperimentato, di non aspettare che chi ha bisogno venga da noi, ma che siamo noi ad andare verso le persone, continui e cresca. È la “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco. Nel centro di ascolto persone vengono a noi, mentre qui siamo a noi ad andare dalle persone, a casa loro, ed è lì che mostrano realmente chi sono, si fanno conoscere, si generano legami più forti – racconta ancora Silvia Canuti –. Ci sono famiglie del campo rom che mi mandano messaggini, mi comunicano le loro novità, la nascita di una bambina... Anche in carcere, continueremo ad andare da chi ha bisogno; anche quando potranno tornare anche i familiari, noi continueremo ad esserci».
L’“andare verso gli ultimi” si è sperimentato molto anche con il nuovo servizio alimentare del magazzino. Che la direttrice vorrebbe trasformare ora in una sorta di palestra educativa per chi presta servizio: gli operatori che al momento ci stanno lavorando dovranno tornare ai loro servizi abituali, e lei vorrebbe che a riempire i posti vacanti arrivassero giovani, i volontari del servizio civile, o le persone destinate ai lavori di pubblica utilità (ad esempio, chi ha una condanna per guida in stato di ebbrezza): «Credo sia una grande esperienza formativa entrare a confronto con situazioni di disagio sociale ed economico e mettersi al loro servizio. A casa loro».
 
Marta Zanella