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La malavita è rapida, la solidarietà di più   versione testuale
18 giugno 2020

«Muoviamoci. Bisogna intervenire subito, perché la malavita è più rapida della burocrazia. La camorra non aspetta. Bisogna fare più in fretta di loro». Drammatico, il grido di aiuto lanciato dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, alle istituzioni campane e partenopee, in piena emergenza da coronavirus. Perché in una città complessa come Napoli, il rischio maggiore è che le articolazioni dello stato e delle istituzioni vengano soppiantate, in tempi di crisi, dai tentacoli dalle malavita, sempre pronta a inserirsi negli spiragli lasciati aperti. Anche questa volta è successo: in alcuni quartieri si è assistito alla distribuzione di aiuti alimentari ed economici da parte di persone affiliate ai clan.
In questo contesto, risulta fondamentale il ruolo che il terzo settore e il volontariato hanno ricoperto durante il lockdown, e che continueranno a svolgere fino al ritorno completo alla normalità. «In questi mesi ho avuto la fortuna di assistere a qualcosa di incredibile ed enorme – racconta il direttore della Caritas diocesana di Napoli, don Enzo Cozzolino –: le richieste ai nostri servizi sono aumentate del 110/120% rispetto a numeri che, già prima della pandemia, erano molto consistenti. I volontari e la struttura, che hanno sempre tenuto aperti tutti i servizi, sono stati chiamati a compiere uno sforzo inimmaginabile. Un dato su tutti: nelle 20 mense cittadine rimaste aperte, sulle 23 ordinarie, sono stati distribuiti una media di 2 mila pasti al giorno, con punte sopra i 4 mila. Alcune strutture, penso alla mensa del Carmine, sono arrivate a distribuire su nove turni per poter garantire un pasto a chi non poteva contare su altro. Ovviamente, il tutto seguendo con scrupolo le normative anti-contagio, distribuendo cestini da asporto».
 
Nella povertà c’è tanta ricchezza
Si è trattato di servizi fondamentali per una realtà come quella napoletana. «Il tessuto economico di Napoli di basa principalmente su commercio e servizi – continua  don Enzo –: i mesi di lockdown hanno tolto a tantissime famiglie le uniche entrate. Basti pensare ai negozi di vicinato, di cui la città è disseminata e che garantiscono ciascuno la sopravvivenza a una o più famiglie, o ai moltissimi venditori ambulanti che, con il guadagno di giornata, riescono comunque a tirare avanti. Ebbene, questa moltitudine di persone all'improvviso si è ritrovata senza nulla. Per fortuna la risposta, non solo della Caritas, ma di un'ampia porzione della città, è stata grande. Perché è vero che Napoli è una città complessa e complicata ma, come dico sempre, nelle zone povere c'è tanta ricchezza. Lo si è visto con le numerose iniziative, anche personali (penso ai panieri solidali o ai tanti banchetti per la distribuzione di cibo) organizzate in questi mesi da comuni cittadini per i residenti di via. Tantissime le iniziative che hanno attualizzato la dottrina sociale della chiesa».
Caritas ha cercato di garantire risposte alle richieste sempre più pressanti. «Abbiamo dovuto sostituire parte dei volontari anziani per metterli in sicurezza e trasformare il servizio di ascolto facendolo diventare telefonico – illustra don Enzo –, ma per il resto, pur con qualche modifica dettata dai protocolli sanitari, abbiamo proseguito come sempre. Tantissime le richieste di aiuto da parte di chi non riusciva a far fronte alla rata di mutuo in scadenza, al pagamento di utenze e bollette, ma anche da parte di chi chiedeva di poter avere accesso a più dati sul proprio telefonino per far collegare i figli alle lezioni scolastiche. Anche se il problema della povertà alimentare delle famiglie resta uno dei nodi centrali».
 
Assistenza di qualità sulla strada
Per questo la Caritas diocesana ha lanciato “Condivido la solidarietà”, un servizio di raccolta e distribuzione di derrate alimentari alle tantissime famiglie intercettate dai centri di ascolto: non solo persone già conosciute dai servizi, ma anche nuclei appartenenti a ceti sociali non abituali frequentatori dei centri caritativi, ma colpiti duramente dall’emergenza. Un lavoro fondamentale, si diceva, per cercare di togliere terreno sotto i piedi della camorra, che sin dall’inizio ha organizzato i propri canali per offrire un aiuto tutt'altro che disinteressato.
«Su precisa richiesta dell’arcivescovo Sepe – conferma don Enzo – è nato “La Chiesa che accoglie”, progetto che garantisce un alloggio a 50 senza dimora in una struttura messa a disposizione dai Padri Gesuiti. Un ambiente sicuro, in cui le persone fragili hanno potuto trascorrere il periodo più complicato dell'emergenza in tutta sicurezza. La notizia più bella è che il progetto non sarà archiviato con la fine della pandemia, ma andrà avanti, garantendo assistenza di qualità a chi vive sulla strada».
Napoli, come, sempre, ha dunque saputo inventarsi risposte innovative. «In questi mesi ho potuto toccare con mano il grande cuore dei napoletani – conclude don Enzo –: dalle famiglie che cucinano per i propri vicini, al commerciante che essendo chiuso ha dato una mano a realizzare i pacchi alimentari, all'utente della mensa che, una volta consumato il pranzo, si trasformava in volontario. Tanti piccoli segni, che ci fanno sperare nel futuro. Come diceva il grande Eduardo in Napoli Milionaria: «Ha da passà 'a nuttata…».    
 
Ettore Sutti