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Anzitutto la casa: uno più uno fa tre   versione testuale
15 febbraio 2021

La casa, il lavoro, la salute. Capisaldi attorno ai quali annodare la ritrovata dignità di esistenze costrette, per diverse ragioni, nell’angolo buio dell’esclusione sociale. E incapaci, anche per come sono fatti e funzionano i servizi, quelli pubblici e quelli del privato sociale, di risalire la corrente lungo i canali canonici dell’assistenza. Rischiando così la condanna alla cronicizzazione della propria condizione, lontano dai più elementari diritti di cittadinanza.
A persone in difficoltà nell’accedere ai servizi, si è rivolta la Caritas diocesana di Udine sin dal 2019, con un progetto congegnato per ribaltare la prospettiva dei rapporti tra la struttura che aiuta e chi riceve l’aiuto, e con la dichiarata volontà di rivedere la propria organizzazione e i propri modelli di presa in carico. Non più interventi settoriali e standardizzati, ispirati da una razionalità centrata sul funzionamento separato di sportelli e uffici, ma progetti personalizzati, centrati sul bisogno e sul riconoscimento dell’unicità delle persone, costruiti grazie allo strumento dei “budget di salute” e a un nuovo schema di collaborazione trasversale tra uffici.
 
Luogo della stabilità
Quel progetto ha dato frutti, anche quantitativi, tutt’altro che residuali. Su un migliaio di persone che ogni anno si rivolgono ai diversi sportelli della Caritas diocesana, 95 (dunque quasi il 10%, non male per una sperimentazione) sono stati avviati in percorsi di presa in carico congiunta, da parte di équipe multidisciplinari, impegnate non tanto a escogitare la risposta (più o meno) standardizzata a un bisogno catalogato, quanto piuttosto a imbastire percorsi – per così dire – di sartoria assistenziale e promozionale, ritagliati sulla misura della difficoltà e sui tempi delle persone.
La lunga stagione del Covid ha naturalmente rallentato, ma non del tutto congelato l’iniziativa. In estate, la Caritas diocesana di Udine ha favorito l’inserimento di alcuni dei 95 nei “tirocini formativi” finanziati dalla regione Friuli Venezia Giulia, suggerendo però modalità nuove e un po’ meno rigide di conduzione. Ma soprattutto, si è preparata a candidare ai finanziamenti nazionali otto per mille “Uno più uno fa tre”, ovvero la seconda annualità del percorso, prevedendone una forte centratura sul tema della casa.
«Stiamo sperimentando esperienze Housing First – chiarisce Raffaele Fabris, coordinatore del progetto –; riteniamo sia un approccio con potenzialità enormi, che ridà spazio alla dignità delle persone e fornisce una cornice di protagonismo al percorso assistenziale che le vede coinvolte». L’abitare, insomma, come luogo della stabilità, da cui partire per lavorare poi su altre dimensioni della precarietà esistenziale, lavoro, dipendenze, salute mentale… «La casa non come elemento premiale, ma come diritto», scandisce Fabris: una condizione di dignità che diventa scommessa di vita. Tutt’altro che impossibile da vincere, anche per chi parte molto svantaggiato, come le persone senza dimora.
 
Trasversale, multidisciplinare
Anche nella seconda annualità, potranno beneficiare del progetto e del nuovo approccio diverse decine di persone, si calcola tra le 70 e le 100, selezionate tra chi non ha (ancora) accesso ai servizio sociali pubblici. A cominciare da alcuni homeless, per supportare i quali Caritas Udine pigerà sul pedale della riqualificazione di immobili inutilizzati di proprietà della Chiesa o di privati, nonché sul pedale dell’utilizzo di alloggi sfitti. Che nel territorio non mancano, soprattutto a causa dello spopolamento dei piccoli centri alpini e pedemontani, ma situati anche nella Bassa friulana. 
Il recupero del patrimonio edilizio in disuso, possibile anche grazie a fondi regionali, si combina dunque con gli accordi che vengono stretti con proprietari che decidono di destinare i propri immobili a finalità sociali. In quegli alloggi si candidano a entrare persone che vengono dalla strada, o dal ramificato girone delle strutture di accoglienza collettive. Ma ci sono anche soggetti, individui o famiglie, segnati da situazioni di precarietà abitativa, che necessitano di radicarsi in un dove che avvertano stabilmente come casa (sino a pensare di poter, un giorno, chissà, rilevare il contratto d’affitto che il progetto prevede sia stipulato, all’inizio, con le organizzazioni Caritas che conducono il progetto).
Ad ogni modo, quel che conta è che ogni piccolo passo avanti, nel progetto e nella vita, venga accompagnato in modo diverso dagli operatori e dai servizi Caritas, nonché dai partner e dagli sportelli territoriali. Un modo trasversale. Multidisciplinare. Disponibile al lavoro d’équipe. Centrato sul primato della persona da aiutare, e non della prestazione da erogare. Un metodo che prima o poi smetterà di essere sperimentato, per diventare prassi organica. Perché uno più uno deve fare tre: valore aggiunto per la quotidianità di chi è aiutato, e per l’efficacia di chi aiuta.
 
Paolo Brivio