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Bergamo, i ragazzi vogliono sapere   versione testuale
18 agosto 2020

In questi mesi, Bergamo ha avuto, suo malgrado, il primato di città più colpita dalla pandemia di Covid-19. Dalla fine di febbraio, il numero dei malati e dei morti è cresciuto in modo drammatico; le immagini dei reparti stracolmi, delle ambulanze in coda ad aspettare, infine dei camion dell’esercito che portavano le salme fuori provincia hanno fatto il giro del mondo.
In questo contesto, ci siamo trovati a gestire il progetto #cHIVuoleconoscere, promosso dall’associazione Comunità Emmaus e volto alla formazione sul tema Hiv-Aids negli istituti superiori di Bergamo.  Ma, con le scuole chiuse e la testa e il cuore oppressi da una situazione pesantissima, che spazio ci poteva essere per riflettere su un “vecchio” virus come quello dell’HIV? La tentazione era di fermare tutto e stare a vedere.
Sono stati alcuni docenti di classi in cui avremmo dovuto intervenire a marzo, però, a proporci di continuare utilizzando la telematica. Con non pochi dubbi sull’efficacia delle modalità a distanza per affrontare i temi delicati connessi all’Hiv, ci abbiamo provato. E il risultato è stato sorprendente.
 
I numeri impressionanti dell’Aids
Abbiamo incontrato ragazzi particolarmente motivati e attenti, forse più sensibili del solito ai temi della salute, della prevenzione e dei meccanismi che generano paura e stigma sociale, anche a causa della situazione che stavamo vivendo. Un virus, il Sars-Cov-2, e la conseguente malattia, il Covid-19, stavano sconvolgendo le nostre vite, e forse interrogarsi sulla vicenda dell’Hiv, il virus che provoca l’Aids – che c’è da tempo e continuerà a esserci anche dopo il Covid – poteva fornire chiavi di lettura per comprendere e affrontare meglio ciò che ci stava succedendo.
Siamo partiti da una considerazione oggettiva: nel 2018, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, a causa dell’Aids sono morte circa 770 mila mila persone, di cui quasi 100 mila minori sotto i 15 anni. È un dato scioccante, anche e soprattutto accostato ai numeri, pur drammatici, delle morti legate a Covid-19. È sconvolgente che non faccia più notizia. I ragazzi sono rimasti particolarmente colpiti dalla consapevolezza che, seppur dimenticata, la questione dell’Hiv e dell’Aids ancora oggi non è affatto risolta, si trascina a causa della povertà e delle diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche dello stigma e del pregiudizio che permangono ovunque. I farmaci a disposizione sono molto efficaci, ma sono inaccessibili per una grande parte di popolazione mondiale.
Le riflessioni sui meccanismi sociali e culturali che hanno caratterizzato la vicenda Aids dal suo esordio e che ancora si evidenziano nella nostra società, e sono alla base di stigma e pregiudizio, hanno offerto spunti utili a rileggere alcune dinamiche: dall’iniziale “diffidenza” nei confronti dei cinesi alla rabbia contro i runner, per arrivare a veri e propri episodi discriminatori subiti dal personale ospedaliero. La necessità di cercare un colpevole, un “untore”, per allontanare da sé il problema, ha trovato terreno fertile nella storia dell’Aids – il tossico, l’omosessuale, la prostituta sono stati bersagli facili –, mentre più complicato è stato con il Sars-Cov-2, che ha coinvolto tutti e da subito, tanto che la dicotomia “noi-loro” è stata più difficile da attivare. Eppure, per molti, la tentazione è forte e la storia di Sars-Cov-2/Covid rimane del tutto aperta. Occorre vigilare, non rifare errori del passato.
 
Grande risposta al concorso
L’insegnamento che Hiv offre è importante: non importa sapere “chi” ha l’Hiv, ma conta sapere “come” ci si infetta. La responsabilità della prevenzione non va scaricata solo su chi ha l’infezione, ma è una responsabilità personale che passa attraverso l’assunzione di comportamenti sani e corretti indipendentemente da chi si ha di fronte. Non ha alcuna senso (e utilità reale) stigmatizzare, giudicare e isolare chi vive con l’Hiv. 
L’aspetto più sorprendete di questo lavoro fatto con gli studenti ai tempi del Covid, è stato il concorso legato al progetto #cHIVuoleconoscere che, a sua volta, era in forte dubbio. Dopo un confronto con le scuole coinvolte, abbiamo voluto provarci, pur con tutte le limitazioni imposte dal lockdown. 
Gli studenti si sono lanciati con grande impegno in questa sfida e i risultati sono stupefacenti per qualità del messaggio, originalità ed efficacia comunicativa. Tra i temi più gettonati la prevenzione, la lotta allo stigma e, soprattutto, il concetto di U=U (undetectable=untrasmittable). Oggi, una persona con Hiv può vivere una vita normale: curandosi, non si ammalerà e, soprattutto, non correrà il rischio di contagiare nessuno, nemmeno il proprio partner, perché la terapia azzera la carica virale e ciò rende il virus non trasmissibile. Segno che i ragazzi hanno colto la natura “rivoluzionaria” di questa nuova acquisizione scientifica. È stato davvero difficile selezionare i vincitori tra i 96 elaborati (nella foto, uno dei lavori) realizzati dagli studenti, che sono stati premiati durante un evento trasmesso in diretta Facebook il 15 giugno 2020.
 
Lotta allo stigma e test anonimo
Ma non finisce qui. Come dichiarato dall’inizio del progetto #cHIVuoleconoscere, gli elaborati prodotti per il concorso saranno la base della campagna informativa e di sensibilizzazione indirizzata a tutta la popolazione della provincia di Bergamo che, in collaborazione con la rete delle realtà pubbliche e private di Bergamo Fast-track City, intendiamo lanciare entro il 1° dicembre 2020.
Bergamo, infatti, è la seconda città italiana ad aver aderito alla rete mondiale di città impegnate in prima persona nel raggiungimento degli obiettivi dichiarati dall’Oms per il 2030 e riassumibili nello slogan “95/95/95”: che il 95% delle persone che hanno contratto l’infezione lo sappiano, avendo fatto il test; che, di queste, il 95% assuma la terapia specifica; infine, che il 95% di chi assume la terapia abbia carica virale azzerata e, dunque, non sia contagioso. Senza dimenticare la lotta allo stigma, che significa anche lavorare sulla qualità percepita della vita delle persone con Hiv.
Associazione Comunità Emmaus e Caritas diocesana Bergamasca sono in prima fila in questa iniziativa, che prevede anche l’attivazione di un check-point, avvenuta a metà giugno, che offre il FriendlyTest – test rapido, anonimo e gratuito per l’Hiv e altre infezioni sessualmente trasmissibili –, nonché spazi di ascolto e accompagnamento per persone con Hiv.
 
Caterina Pellegris 
Paolo Meli