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Una sfida alla carità e alla giustizia   versione testuale
21 agosto 2020
 Il virus Sars-Cov-2 ha manifestato e continua a manifestare caratteristiche destabilizzanti. Ha attaccato e attacca le comunità non solo sul versante sanitario, ma anche sul versante sociale, costringendole, per salvaguardare la salute di tutti, a mettere in secondo piano la relazione diretta come luogo di incontro e di ascolto dell’altro.
Anche la vita delle comunità cristiane ha rischiato di venire stravolta, perché impossibilitata a promuovere e condurre i suoi appuntamenti fondamentali, come le celebrazioni eucaristiche, gli incontri di formazione e catechesi, i momenti di vita comunitaria.
La comunità cristiana, chiamata a leggere i segni dei tempi, è dunque interpellata da una realtà incalzante e inedita. La pandemia ha alimentato e accresciuto la vulnerabilità sociale, ma ha anche messo a nudo le ipocrisie e le malattie sociali che affliggono la nostra società, facendo emergere, per converso, una fantasia della carità e della solidarietà molto viva ed efficace. La comunità cristiana ha infatti avuto la possibilità di “riscoprire” l’intima natura della Chiesa, che è la Carità, virtù teologale per eccellenza, che unisce in profondità l’amore verso Dio e verso il prossimo.
 
Sguardo strategico alle marginalità
Tra le tante azioni di solidarietà messe in atto, che possono ancora migliorare e aumentare, vi sono quelle dedicate a dimostrare che la comunità può essere in grado di includere gli invisibili, non generando più “scarti” sociali e favorendo una nuova cultura di comunità fondata sui valori della solidarietà e della sussidiarietà e su un’autentica ricerca del bene comune.
Le persone senza dimora, che per tanti sono invisibili, e anzi sono “gli invisibili” per antonomasia, sono stati al centro dell’attenzione delle Caritas diocesane, tutte o quasi, così come di altre realtà ecclesiali, in modo particolare durante il tempo del lockdown. Nei mesi più duri dell’epidemia, gli organismi diocesani hanno proseguito, modificato, riorganizzato, in molti casi addirittura potenziato i servizi e le attenzioni rivolti agli homeless, miscelando – sotto la pressione dell’urgenza – interventi tradizionali con azioni innovative: l’ascolto, l’accoglienza notturna, le mense, le docce, ma anche nuovi servizi e spazi di accoglienza, di incontro e di animazione.
Può restare a casa chi casa ce l’ha, e ha un luogo significativo in cui ritirarsi, impregnato di relazioni e di sicurezze. Ma non tutti hanno una casa. Ci si può ritrovare senza un tetto perché separati dalla famiglia, perché si fa fatica a pagare un affitto, perché la propria casa è stata messa all’asta, per una vicenda migratoria fallita.
Di fronte a queste vite le istituzioni, non tutte naturalmente, hanno fatto molta fatica a rispondere tempestivamente, attraverso servizi dedicati, e nei fatti hanno delegato ad altri, ai tanti soggetti del volontariato e del terzo settore. I mesi dell’emergenza acuta non erano forse il momento migliore per elaborare un piano strategico di intervento: che ora, però, non è più rinviabile.
La pandemia, enfatizzando la centralità sociale del diritto alla casa e alla salute, ha ribadito la necessità di uno sguardo strategico alle marginalità sociali del nostro paese, incluse naturalmente le persone senza dimora. Per elaborare un approccio di sistema più convinto ed efficace sarà necessaria la collaborazione tra istituzioni pubbliche e organismi del privato sociale, che hanno fatto molto in questi anni, sostituendosi in diversi casi alle istituzioni stesse. Occorre raggiungere l’obiettivo di una reale inclusione, osando di più, prevenendo la vita in strada, dando possibilità di una vita degna, libera e di relazione in comunità che siano disposte a fare la propria parte, rifuggendo definitivamente da luoghi comuni e stereotipi.
Occorre insomma, anche alla luce della lezione impartita dall’epidemia, ripartire dagli invisibili e dagli ultimi: ascoltandoli, creando con loro percorsi personalizzati, restituendo loro identità e dignità.
 
Andrea La Regina