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La Chiesa in Algeria   versione testuale

Mons. Teissier, arcivescovo di Algeri, è la saggia guida di una Chiesa che riesce a farsi apprezzare per l'amicizia con la gente e per il dialogo della vita al quotidiano. Il suo predecessore, il cardinale Duval, aveva già aperto questa via. È significativo, infatti, che il presidente della Repubblica Bouteflika, musulmano e come tale non tenuto a conoscere le procedure ecclesiastiche della Chiesa cattolica, abbia recentemente chiesto al Vaticano di canonizzare il cardinale. Questo prelato, francese, aveva ottenuto la cittadinanza algerina e aveva saputo demarcare la Chiesa dal potere coloniale anche negli anni della sanguinosa guerra di indipendenza. Una Chiesa di stranieri che, «se si dovesse applicare la legge, sparirebbe in poco tempo». «È una battaglia quotidiana - dice Mons. Teissier - si procede come su un'onda, su e giù». Ma non è una Chiesa straniera. Egli appare spesso infatti alla televisione nazionale ed è ospite fisso nel dibattito culturale algerino. Non è solo una figura di rilevo culturale: ad esempio è abitudine per molte coppie di neo sposi chiedere una foto ricordo con il Vescovo.

L'Algeria è soprattutto una Chiesa di martiri, rimasta sul posto dopo che il 10% dei suoi effettivi sono stati trucidati nello spazio di pochi anni. Una Chiesa che da queste vicende manifesta di aver condiviso, e non a parole, le sorti del popolo in cui vive. Una Chiesa che rimane con un profilo basso, quindi estranea a parole come "grandi progetti", "visibilità", "denunce" e ad altri termini del nostro linguaggio abituale. Una Chiesa che, con personale europeo, sta però invecchiando, e che avrebbe bisogno di nuove risorse umane.
Per capire "l'aria" della Chiesa d'Algeria, bisogna leggere il testamento di Frère Christian, il priore del monastero di Tibhérine scritto con il presentimento di poter diventare una vittima dei terroristi, come si è poi verificato, poco più di un anno dopo. Parole piene di speranza, di compassione, di perdono, di rispetto per l'esperienza religiosa dell'Islam; lui che definisce sé stesso e l'uomo che lo ucciderà complici del male di questo mondo ed entrambi "ladroni felici" quando si ritroveranno nelle braccia del Padre della Misericordia.

L'Algeria non è il paese dove si possa fare l'animazione classica di villaggio, ma dove la Chiesa e la Caritas si mettono a disposizione. Sembra un po' paradossale, ma non è la Caritas che "cerca", è la Caritas che si lascia trovare e che vuole dare risposte concrete. Anche del tutto originali, come le attività del Centro Ciara, o appoggiando quelle di Sos Culture e di altre associazioni o le attività di elaborazione culturale e interreligiosa (Glycine, Foyer des Jeunes) quali esempi di ricerca della inevitabile convivenza delle culture.
La Caritas Algeria è espressione di questa Chiesa, trascurabile numericamente, in un paese musulmano. C'è un solo prete algerino, appartenente alla minoranza berbera e pochissimi altri cristiani autoctoni. Negli anni '90, ben 19 religiosi sui 190 presenti, sono stati uccisi dagli estremisti islamici, che peraltro hanno massacrato almeno centomila algerini, molti di più secondo altre fonti. Le Diocesi sono 4: Algeri, Costantina, Orano e Laghouat, che comprende l'immenso sud sahariano. Alla Caritas Algeria lavora anche Umberta Fabris, rappresentante di Caritas Italiana, responsabile del monitoraggio dei nostri interventi e responsabile della rivista femminile "Hayat".