22 Settembre 2025

Da Gorizia. “Tempo di alzare lo sguardo con speranza”

Le parole del card. Matteo Zuppi sul confine italo-sloveno: le guerre, le Nazioni Unite, la pace

Nel giorno in cui le piazze italiane si riempiono per chiedere pace e giustizia e le Nazioni Unite trattano il tema del conflitto in Medio Oriente, il card. Matteo Zuppi introduce i lavori del Consiglio Episcopale Permanente della CEI trattando, a una a una, questioni apparentemente senza risposta. Lo fa a Gorizia, ospite della diocesi di mons. Carlo Redaelli (presidente di Caritas Italiana), terra di confine, luogo di guerra, un tempo, e ora di cooperazione internazionale. “Gorizia e Nova Gorica sono unite come Capitale Europea della Cultura 2025, prima capitale transfrontaliera”.

L’Europa maestra di pace

L’Europa unita ha reso possibile molte cose, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa (che pure si erano combattuti) e del mondo. Questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie. Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace. […]

L’Europa deve esistere di più, anche se la insidiano e la indeboliscono i nazionalismi e i sovranismi e una leadership complessa.

Gaza e la guerra

La guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni persone. Come non pensare a Gaza dove, mentre ancora gli ostaggi israeliani sono prigionieri in condizioni inumane, un’intera popolazione, affamata, bombardata, è costretta a un esodo continuo e con sofferenze drammatiche come ogni esodo. Facciamo nostre le parole di Leone XIV, unendoci alla sua preghiera, sul popolo di Gaza che «continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre» (Udienza generale, 17 settembre 2025). La Chiesa italiana si unisce al suo forte e accorato appello per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Ci domandiamo con inquietudine: cosa possiamo fare di più per la pace?

Chiediamo: cessi il rumore delle armi in nome del rispetto per l’inviolabile dignità della persona umana, di ogni persona; siano protetti i civili da ogni forma di violenza fisica, morale e piscologica; sia garantita a ciascuno la libertà di decidere dove e come vivere nel rispetto dell’altro e in fraternità, perseguendo il principio dei due Stati, unica via per dare un futuro al popolo palestinese preso in ostaggio da Hamas e dall’offensiva militare tuttora in corso.

Nell’importante Appello interreligioso, firmato insieme a UCEI, UCOII e COREIS, viene ribadito: «Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi» (Dichiarazione “Fermi tutti” di Bologna).

Da parte nostra, come Chiesa italiana, continueremo ad alleviare la crisi umanitaria e la sofferenza inaccettabile e ingiustificabile con ulteriori iniziative di cui daremo notizia prossimamente. La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità.

L’Ucraina. Il cambio di paradigma

Avviene in Ucraina, dopo qualche recente speranza di negoziato – che speriamo sia con tenacia e creatività perseguita -, mentre nuove truppe vengono schierate sul terreno e i bombardamenti continuano sistematicamente. Il futuro sembra essere nel confronto militare. La guerra sfugge di mano anche a chi la provoca e crede di circoscriverla o indirizzarla, come avviene quando si accende un fuoco. È avvenuto un cambio di paradigma, ormai generalizzato, con la riabilitazione della guerra come strumento politico o di affermazione dei propri interessi.

Nazioni Unite per la pace

La pace, dalla Seconda Guerra mondiale, era stata l’ideale e lo scopo della politica internazionale, come si evince a chiare lettere nella Carta delle Nazioni Unite che hanno come primo obiettivo: «salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità». […]

Ma non è indispensabile riprendere questo sogno, cercare di realizzarlo perché solo insieme si può difendere la casa comune?

Non stiamo vivendo solo una crisi dell’ONU. Siamo nell’età della forza. Addirittura, si teorizza che la guerra sia una compagna naturale della storia dell’uomo, quasi intrinseca alla natura umana da sempre, mentre la pace sarebbe qualche breve e occasionale parentesi, quasi fossimo dominati da un destino da cui è impossibile liberarsi, quello di combatterci e di ucciderci a vicenda.

Case di pace

Per evitare questi rischi serve un’educazione che valorizzi la pluralità, il riconoscimento dell’altro, il dialogo e la buona fede, anche quando ciò può apparire ingenuo. Ogni parrocchia e comunità sia una casa di pace e di non violenza che promuova e raccolga le tante e importanti istanze che salgono dalla società civile. Per i cristiani, l’impegno alla pace non è un’opzione morale fra tante, ma una dimensione costitutiva del Vangelo. Gesù ci ricorda che basta dire pazzo a nostro fratello per essere omicidi! Egli invita ad amare i nemici. Questo impegno si traduce nel promuovere riconciliazione, giustizia, cura dei più vulnerabili, rifiuto di ogni forma di violenza. Essere cristiani significa anche denunciare le guerre e le ingiustizie, sostenere la diplomazia, offrire accoglienza a chi fugge da conflitti. E significa pure lavorare perché in tutto il nostro Paese e in tutte le comunità locali si costruisca un dialogo autentico, una reciprocità che superi le paure radicate. Significa testimoniare che la pace non è assenza di conflitto, ma presenza viva di legami di solidarietà, di cura, di ascolto profondo. Educare alla pace oggi significa formare persone che sappiano uscire dai muri della polarizzazione, che comprendano che il cristianesimo chiede fedeltà al comandamento dell’amore. Persone che riconoscano la pace non come diritto garantito ma come opera quotidiana, fragile, spesso silenziosa, eppure autentica.

Alzare lo sguardo

La veglia di Gorizia (foto SIR/Avvenire)

Da questo osservatorio del tutto unico e privilegiato che è Gorizia, proviamo a guardare le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo come farebbe Gesù. Il Vangelo di Giovanni racconta che ancora a distanza di mesi dalla mietitura invitava già i suoi discepoli con queste parole: «Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano» (Gv 4,35). Anche per noi è tempo di alzare lo sguardo con speranza. C’è una gioia che accomuna chi semina e chi miete (cfr. Gv 4,36). Forse a noi spetta il compito di seminare e ad altri di mietere. Quello che è essenziale adesso è non ripiegarsi su sé stessi, ma piuttosto cogliere e valorizzare i piccoli segni che preludono a qualcosa di grande, essere portatori di speranza come i giovani che sanno costruire il loro futuro, diventare costruttori umili e tenaci di una pace giusta e di tanta fraternità tra le persone.

 

 

Aggiornato il 25 Settembre 2025