
Dal 1 al 3 settembre 2025, presso il Centro Giovanni XXIII di Frascati, si è svolto il seminario promosso da Caritas Italiana e dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, intitolato “Educare alla pace in tempi di guerra”. Tre giornate dense di riflessioni, confronti e testimonianze per riaffermare l’urgenza di parlare di pace come scelta concreta e responsabilità condivisa in un tempo segnato da guerre visibili e invisibili.
Prima giornata. La pace come giustizia e impegno intergenerazionale
In un tempo segnato da guerre dimenticate, conflitti visibili e invisibili, e da un senso di assuefazione al clima di tensione globale, sentiamo l’urgenza di tornare a parlare di pace come scelta concreta, come orizzonte educativo, come responsabilità condivisa.
Nella prima giornata, introdotta don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, ci si lascia interrogare da due voci autorevoli:
Cristina Simonelli, teologa, ha guidato a riflettere su cosa significhi oggi parlare di una teologia della pace: un modo di abitare il Vangelo dove la pace non è assenza di guerra, ma giustizia vissuta.
Alberto Melloni, storico e docente universitario, ha offerto uno sguardo ampio e profondo sul ruolo della Chiesa nel promuovere la pace tra XX e XXI secolo: un tempo in cui la Chiesa continua ad essere chiamata a un protagonismo evangelico nella costruzione della pace.
In serata, uno spazio dedicato ai giovani, con Luca Fratini, coordinatore del programma “Giovani, Pace e Sicurezza” del MAECI, che ha sottolineato quanto sia fondamentale coinvolgere le nuove generazioni in percorsi di pace reali, ascoltando la loro domanda di senso e il loro desiderio di giustizia.
Seconda giornata. Oltre la guerra, verso scelte consapevoli
La seconda giornata si è concentrata su temi cruciali per comprendere i conflitti attuali e il ruolo che ciascuno può avere nella costruzione della pace.
Francesco Strazzari, professore ordinario di relazioni internazionali alla Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna, ha ricordato che non esiste una guerra risolutiva né inevitabile. Ha evidenziato il cambio dei paradigmi mondiali che ha interessato l’ultimo ventennio sottolineando come le diplomazie delle potenze spesso siano “diplomazie di guerra” più che di pace.
La giornalista e inviata di Avvenire, Lucia Capuzzi, ha approfondito il ruolo fondamentale dell’informazione, sottolineando la necessità di un approccio critico ai media e ai social network per evitare di rimanere spettatori passivi e contribuire invece a una rivoluzione culturale che cambi lo sguardo sulle narrazioni di guerra.
Nel pomeriggio, la riflessione si è allargata alla scelta quotidiana come fondamento della pace. Francesco Iannuzzelli di Peacelink ha posto l’attenzione sull’importanza di scelte etiche anche nell’uso delle tecnologie digitali, promuovendo app, piattaforme e software che non alimentino conflitti o sfruttino dati per il profitto.
Il sacerdote don Fabio Corazzina, della diocesi di Brescia, ha lanciato una domanda centrale: cosa facciamo ogni giorno come Caritas per costruire la pace? La risposta è arrivata dalle testimonianze delle Caritas diocesane di Fano, Verona e Roma, che hanno condiviso progetti concreti di impegno sociale e politico nei loro territori. Parafrasando Italo Calvino, siamo chiamati a scegliere se vivere nell’“inferno dei viventi”, dominato dalla violenza, o a riconoscere e costruire ciò che “inferno non è”.
Collegata da remoto, Shahrzad Houshmand Zadeh, Sapienza Università di Roma, per parlare sull’impegno per la pace nelle varie religioni, in particolare nella comunicazione tra islam e cristianesimo.
Terza giornata. Educare alla pace. Percorsi pastorali
A dare concretezza alle parole di pace, prima dei lavori di gruppo, la tavola rotonda del terzo giorno, moderata da don Marco Pagniello, con Emanuela Gitto, Azione Cattolica, Paola Villa, Acli, Alessandra Cetro, Agesci, Carlo Cefaloni, Movimento dei Focolari, Davide Pati, Libera, e Antonio De Lellis, Pax Christi.
Un impegno concreto e condiviso
Il seminario ha confermato come educare alla pace in tempo di guerra non sia un ideale astratto, ma una responsabilità quotidiana, che richiede scelte consapevoli e azioni concrete. Caritas Italiana rilancia così l’invito a costruire una cultura della pace capace di attraversare le scuole, le comunità e le istituzioni, coinvolgendo tutte le generazioni in un cammino di giustizia, solidarietà e dialogo.
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Il comunicato finale:
“Non con le armi. La pace si educa nelle coscienze e si realizza nelle scelte concrete”
Frascati (RM), 3 settembre 2025 – «Siamo chiamati a scegliere. Siamo chiamati a scegliere la pace ogni giorno, a svelare la verità, a stare nella complessità del conflitto e della realtà senza mai banalizzare». Con queste parole si è concluso il seminario nazionale “Educare alla pace in tempi di guerra”, promosso da Caritas Italiana e dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, che per tre giorni ha riunito a Frascati operatori pastorali delle diocesi in Italia. L’evento è stato una prima risposta all’invito che papa Leone XIV ha rivolto ai Vescovi italiani lo scorso 17 giugno chiedendo “che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro”.
La Pace non è sinonimo di sicurezza, se per sicurezza si intende la militarizzazione dei confini, la corsa agli armamenti, l’esternalizzazione delle frontiere che ci riguarda da molto vicino. Attualmente, sono 56 le guerre che feriscono il mondo e che continuano a distruggere i sogni, le storie, le relazioni, le vite umane. La guerra è patologia del conflitto, fallimento della politica: non risolve nulla, è solo funzionale alla ridefinizione del potere, all’eliminazione dell’altro.
“Ripartiamo dalle parole e dal loro significato, perché – come ricorda la Pacem in Terris – la pace si fonda sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà. Non c’è pace possibile se non radicata nella verità che la storia ci consegna e che interpella la nostra coscienza.” – ha affermato don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana – “Come persone, come comunità, siamo chiamati a disarmare le parole, a studiare e informarci per abitare la complessità del nostro tempo. Non agire, restare fermi come se la Storia non fosse anche conseguenza delle nostre piccole scelte, equivale a schierarsi con chi opprime. È tempo di scelte etiche e coraggiose”.
La Pace si costruisce dal basso e ciascuno, credente o non credente, è chiamato a farsi responsabile, a non delegare, a non cedere all’indifferenza. Tra le molte proposte dei partecipanti è emerso il sostegno all’istituzione di un Ministero della Pace – “Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace” (Papa Leone XIV) – e la creazione di tavoli di confronto che, con le diverse componenti della società civile, sappiano individuare percorsi e soluzioni concrete come alternative alla guerra e al riarmo.
“Non rassegniamoci al cinismo delle armi e al fatalismo dei conflitti. La Chiesa è chiamata a formare coscienze critiche, capaci di denunciare le ingiustizie e di generare percorsi di riconciliazione.”, ha aggiunto don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, “Oggi, educare alla pace significa resistere al pensiero unico, assurdo e dominante che vede nella guerra la strada per arrivare alla pace”.
Alle istituzioni, l’invito a non considerare la guerra come inevitabile per risolvere i conflitti internazionali. Non esiste una guerra giusta. L’Italia onori la Costituzione che ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Lo faccia a partire dalle piccole decisioni.
Ai media, l’appello ad accendere luci, a contribuire alla formazione di cittadini consapevoli, attenti, a svegliare dal sonno delle coscienze per non generare mostri.
Alla società civile e ai cristiani in particolare: creiamo percorsi di pace strutturati, vivi, inclusivi, che rispondano alle esigenze del nostro tempo. Formiamo dei cittadini e cristiani capace di vivere ogni conflitto, abitare le frontiere. Diventiamo operatori di pace. Una pace che nasce dal dialogo, dalla giustizia, dalla capacità di mettere al centro la dignità di ogni persona, certi che il futuro si costruisce a partire dalla quotidianità con la forza mite e radicale della speranza.
Aggiornato il 25 Settembre 2025