3 Maggio 2023

Decreto lavoro: un primo sguardo alle misure contro la povertà

Il Consiglio dei Ministri del Governo Meloni ha approvato il decreto legge sul lavoro. Quali sono le principali novità rispetto al contrasto alla povertà? Quali i passi in avanti compiuti rispetto al Reddito di cittadinanza? Su quali aspetti è necessario aprire il dibattito per trovare soluzioni ancora migliori?

Immagine: Caritas diocesana di Vicenza

1. Un presupposto imprescindibile per Caritas Italiana
2. Una proposta di separazione motivata da tre necessità
3. Due misure sì, ma occhio alla logica sottostante
4. Passi da compiere

5. Si migliora un po’ e solo in parte la capacità di raggiungere la maggioranza dei poveri assoluti
6. Il rischio “esclusione” contenuto nell’uso delle piattaforme informatiche
7. Pochi incentivi per accettare offerte di lavoro
8. Un Terzo settore “opzionale”
9. Un confronto necessario per trovare soluzioni giuste ed evitare passi indietro

Il 1° maggio 2023, festa dei lavoratori, il Consiglio dei Ministri del Governo Meloni ha approvato il decreto legge sul lavoro, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 maggio 2023, che contiene una serie di disposizioni in materia di lavoro, fra cui la tanto attesa riforma del Reddito di cittadinanza (RdC). Il RdC scompare a partire dal 1° gennaio 2024, sostituito da due nuove misure, l’Assegno di inclusione per il contrasto alla povertà e che partirà, appunto, il prossimo 1° gennaio, e il Supporto per la formazione e il lavoro, per l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa, in vigore dal 1° settembre 2023.

Visto che il decreto sarà sottoposto alla discussione parlamentare nelle prossime settimane, proviamo a capire quali sono le principali novità rispetto al contrasto alla povertà, quali sono stati i passi in avanti compiuti rispetto al RdC e proviamo a fare luce sugli aspetti su cui è ancora necessario aprire il dibattito per trovare soluzioni migliori rispetto a quanto previsto dal decreto.

1. UN PRESUPPOSTO IMPRESCINDIBILE PER CARITAS ITALIANA

Caritas Italiana qualche settimana fa ha reso pubblica e presentato al Governo una sua proposta di riforma del RdC che parte da un presupposto imprescindibile: le misure contro la povertà devono garantire il diritto a una protezione adeguata per chiunque sia in povertà (ovvero non sia in grado di vivere dignitosamente) e per tutto il tempo in cui persiste la condizione di bisogno. Questo indipendentemente dalle caratteristiche personali o del nucleo in cui si vive. In tutta Europa le misure contro la povertà presentano questa caratteristica: sono cioè universali in quanto si rivolgono a tutti i poveri senza distinzione alcuna.

2. UNA PROPOSTA DI SEPARAZIONE MOTIVATA DA TRE NECESSITÀ

Ma veniamo al Decreto. La prima novità che va segnalata è che nella previsione del Governo lo strumento di contrasto alla povertà subisce uno sdoppiamento: non si ha più un programma unico, come accadeva con il RdC, ma due distinti, l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro. Anche Caritas italiana, nella sua proposta di riforma del RdC, è andata nella direzione di prevedere due misure separate (il Reddito di protezione – Rep, per il sostegno alle persone e famiglie in povertà e l’Assegno sociale per il lavoro – Al, per il reinserimento lavorativo delle persone occupabili, cioè più vicine al mercato del lavoro). Per Caritas la separazione prospettata nella sua proposta è motivata da tre necessità: distinguere l’obiettivo del contrasto alla povertà da quello dell’inserimento lavorativo – intrecciati fra loro, ma che coinvolgono fasce della popolazione diverse e richiedono pertanto interventi distinti – anche alla luce delle moltissime difficoltà concrete incontrate in questi anni con il RdC; separare i due percorsi in modo anche da semplificare l’iter amministrativo e attuativo e offrire alle persone risposte più immediate, adeguate ed efficaci; offrire un supporto mirato (con l’Al) a disoccupati privi di qualunque altro aiuto dallo Stato (perché non possono accedere al sussidio di disoccupazione, come la Naspi, in quanto non hanno i requisiti o perché l’hanno terminata) e che, privi di un sostegno, rischierebbero di cadere in povertà e di non essere reinseriti subito nel mercato del lavoro. Sottesa a questa impostazione di Caritas, che ispira soluzioni simili in altri otto Paesi europei (fra cui la Spagna, l’Austria, il Portogallo, la Finlandia) è l’idea che, se si è in povertà, si ha il diritto di usufruire di un aiuto dallo Stato fino a quando non si recuperi o conquisti ex novo la propria autonomia sociale ed economica.

3. DUE MISURE SÌ, MA OCCHIO ALLA LOGICA SOTTOSTANTE

Il Governo prevede due misure, ma la logica sottostante è diversa: il diritto a una protezione continuativa è riconosciuto solo alle famiglie che presentano alcune caratteristiche demografiche particolari (presenza di minori, di over 60enni, di persone con disabilità e con invalidità) e che hanno specifici carichi di cura legati a questa composizione. Queste famiglie potranno fare domanda e ricevere l’Assegno di inclusione a partire dal 1° gennaio 2024 per 18 mesi, rinnovabili per altri 12 e così via, dopo l’interruzione di un mese ogni volta, se rientrano nei requisiti di reddito previsti (rimasti invariati rispetto al RdC: Isee di 9.360 moltiplicato per la scala di equivalenza e reddito di 6.000 euro moltiplicato per la scala di equivalenza). Il contributo viene maggiorato con un importo di 3.360 euro se si è titolari di un affitto regolarmente registrato.

Ma che cosa accade se si è, per esempio, una coppia di adulti senza figli o un senza dimora? A costoro è precluso l’accesso all’Assegno di inclusione, in quanto, pur avendo un Isee entro i 6.000 euro e dunque trovandosi in condizione di povertà assoluta, non hanno le caratteristiche familiari previste per accedere all’Adi. Rientrando nella fascia 18-59 anni, essi potranno fare domanda per il Supporto per la formazione e il lavoro a partire dal 1° settembre 2023 e ricevere un contributo che è, a differenza che nell’Assegno di inclusione, in quota fissa (350 euro per una persona sola a cui si aggiungono altri 175 euro se si è in coppia) senza ulteriori supplementi per l’affitto. Ma il Supporto per la formazione e il lavoro non è un bonus svincolato: esso infatti richiede la partecipazione delle persone a percorsi di formazione e riqualificazione professionale. I due presupposti del Supporto per la formazione e il lavoro sono che: chiunque abbia tra i 18 e i 59 anni, in assenza di invalidità, figli minori, over 60 anni e disabilità, sia automaticamente occupabile, mentre sappiamo bene che il requisito anagrafico (tra i 18 e i 59 anni) non è di per sé un criterio di occupabilità, cioè di maggiore probabilità di trovare un lavoro, in quanto non si considera che in questa fascia di popolazione potrebbero trovarsi persone che hanno fragilità e vulnerabilità tali da render necessari interventi di supporto psico-sociale specifici piuttosto che di attivazione al lavoro (si pensi alle persone senza dimora o a persone single molto lontane dal mercato del lavoro); inoltre, che, partendo da una situazione di povertà assoluta, per costoro sia possibile migliorare nel giro di un anno al massimo, la propria situazione economica e rendersi autonomi. Se ciò non accade, al termine della formazione seguita, essi non avranno diritto a nessun aiuto da parte dello Stato. Entrambi i presupposti sono poco realistici e, a ben vedere, il risultato è che la previsione governativa finisce col mettere in discussione il diritto a una vita decente per tutti, assicurandolo esclusivamente ad alcune categorie di persone in povertà (famiglie con minori, over 60 e persone con disabilità) e lasciando scoperti tutti gli altri.

Infine un’ulteriore forma di iniquità fra beneficiari di Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro è data dal fatto che a questi ultimi, essendo incanalati esclusivamente e rigidamente in percorsi professionalizzanti, viene di fatto preclusa la possibilità di ricevere il sostegno necessario nel caso di bisogni sociali o psico-sociali (si pensi alle dipendenze o a patologie psichiatriche non diagnosticate), che richiederebbero un supporto specialistico comportando che le persone vengano indirizzate opportunamente ai servizi sociali territoriali.

 4. PASSI DA COMPIERE

Per andare nella direzione auspicata da Caritas (una misura di protezione universale), si dovrebbero compiere due passi:

  • eliminare dall’Assegno di inclusione il vincolo che esclude le famiglie senza carichi familiari, così da renderla una misura universale rivolta a chiunque sia in povertà;
  • utilizzare per l’accesso al Supporto per la formazione e il lavoro non il requisito demografico dell’età (18-59 anni), come previsto finora, bensì un criterio di occupabilità che si basi sulla maggiore probabilità delle persone di trovare un lavoro (essere disoccupati da meno tempo). Una volta terminato il Supporto per la formazione e il lavoro, se gli occupabili si trovassero ancora sotto la soglia di povertà, rientrerebbero nell’Assegno di inclusione, cosa che al momento non è prevista dal Decreto.

 5. SI MIGLIORA UN PO’ E SOLO IN PARTE LA CAPACITÀ DI RAGGIUNGERE LA MAGGIORANZA DEI POVERI ASSOLUTI

Andiamo ora a vedere se nella versione del Governo è migliorata la capacità della misura di raggiungere la maggior parte dei poveri assoluti evitando esclusioni e iniquità, come accadeva con il RdC (le stime di fonte Caritas, Cnel e Banca d’Italia sono concordi nel quantificare intorno al 50-60% la quota di poveri assoluti non raggiunti dal Reddito di cittadinanza). I tre limiti maggiori nel RdC erano dati dal criterio della residenza in Italia da 10 anni di cui gli ultimi due in via continuativa che aveva escluso gran parte di poveri stranieri dall’accesso alla misura; da una scala di equivalenza che sfavoriva le famiglie numerose e con figli rispetto ai single e da una soglia di accesso unica a livello nazionale che non considerava le differenze nel costo della vita tra le diverse aree del Paese (nord, centro, sud e isole) e a seconda delle dimensioni del comune di residenza (piccoli, medi, grandi). Ebbene, un passo avanti viene compiuto rispetto alla residenza: passano da 10 a 5 gli anni di residenza richiesti, come anche reso necessario dalla procedura di infrazione disposta dall’Unione Europea rispetto alla necessità di superare il requisito di residenza di 10 anni, ritenuto inammissibile. Rispetto agli altri due limiti non sono stati previsti invece interventi migliorativi: la nuova scala di equivalenza adottata nel Decreto, infatti, considera soltanto gli adulti con disabilità, over 60 e invalidità e con carichi di cura e i minori, tralasciando gli adulti presenti nel nucleo e senza carichi di cura (che sono peraltro sottoposti all’obbligo di adesione e partecipazione attiva a tutte le attività formative e sociali previste); inoltre il contributo per l’affitto è unico indipendentemente dalla area di residenza o dall’ampiezza del comune.

6. IL RISCHIO “ESCLUSIONE” CONTENUTO NELL’USO DELLE PIATTAFORME INFORMATICHE

Alcuni altri punti da segnalare riguardano il fatto che molte operazioni preliminari che il richiedente deve completare prima che venga erogato il contributo economico, siano da effettuare su una piattaforma informatica (la cosiddetta SIISL), in cui le persone devono inserire informazioni sulla loro situazione e siglare il patto digitale che darà loro diritto alla ricezione del contributo. L’assenza di un supporto da parte degli operatori locali in questa fase potrà costituire un ostacolo per molte persone prive di quel bagaglio di competenze digitali necessarie per il disbrigo delle pratiche amministrative. Inoltre Caritas ritiene che piuttosto che la firma del patto digitale, l’avvio dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa debba passare per un primo contatto diretto con gli operatori dei servizi sociali. Questo perché la misura di contrasto alla povertà è composta da due elementi, un contributo economico e i servizi alla persona, che sono inscindibili sin da subito, e poi perché la relazione e la mediazione sono ingredienti fondamentali per l’empowerment delle persone.

7. POCHI INCENTIVI PER ACCETTARE OFFERTE DI LAVORO

Inoltre il decreto non prevede meccanismi che incentivino e rendano conveniente accettare offerte di lavoro, in modo che i nuclei, ove vi siano le condizioni perché i suoi componenti lavorino, possano conquistare l’autonomia economica necessaria per uscire dalla povertà, scongiurando il rischio di lavoro irregolare o nero. Infatti l’accettazione di un’offerta di lavoro è vincolante per i beneficiati di Assegno di inclusione, senza che si valuti la coerenza rispetto alle competenze e al background delle persone e la distanza dal domicilio (al massimo 80 km) viene considerata solo nel caso di contratti a tempo determinato. Pare poi ancora troppo bassa la soglia indicata per rendere compatibile il cumulo tra contributo economico e reddito percepito in caso di lavoro (3.000 euro annui), quando invece per incentivare le persone che sono nella misura ad accettare offerte di lavoro si dovrebbe consentire una cumulabilità maggiore tra importo della misura e retribuzione dal lavoro, almeno per il primo anno di lavoro, così da garantire la costruzione di una base economica solida tale da permettere l’uscita dal programma e dalla povertà nel giro di uno o due anni.

8. UN TERZO SETTORE “OPZIONALE”

Infine rispetto al ruolo del Terzo settore e alla promozione di una sussidiarietà locale strutturata e funzionale, si segnala che nel Decreto questo aspetto viene delegato alla discrezionalità degli operatori dei servizi sociali e dei Comuni, previa stipula di accordi di reciproco riconoscimento fra le parti. Indicazione per Caritas ancora troppo labile e poco vincolante perché questo basti ad avviare collaborazioni utili al lavoro degli operatori in vista della realizzazione di risposte adatte alle persone in difficoltà. Come sottolineato già in passato da Caritas, i dispositivi per la creazione di reti locali (cabine di regia, tavoli di lavoro interdisciplinari, equipe multiprofessionali) vanno riconosciuti nella loro centralità e pertanto stabiliti e resi stringenti per legge, in modo che tutti i territori se ne dotino e in tutti i contesti ci si attrezzi per fare di questa modalità di lavoro non un’opzione, ma una condizione essenziale per il lavoro locale di contrasto alla povertà.

9. UN CONFRONTO NECESSARIO PER TROVARE SOLUZIONI GIUSTE ED EVITARE PASSI INDIETRO

Da questa prima carrellata emerge come, al netto di alcuni passi in avanti, per la discussione del Decreto le prossime settimane dovranno essere improntate a un confronto costante, di merito e radicato nell’esperienza delle tante realtà locali che si occupano di povertà. Solo così potremo sperare che il Decreto contenga soluzioni il più possibile adatte alla povertà presente nel nostro Paese, ma soprattutto che evitino pericolosi quanto dannosi balzi indietro che l’Italia non può permettersi.

Aggiornato il 8 Maggio 2023